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La debole Europa senza identità
 
di Giuseppe Ladetto
 

In Italia, ci dicono i media, si riscontra un diffuso sentimento “antieuropeo” che attribuisce alle direttive del vertice comunitario tutti i mali del nostro Paese. In realtà, a provocare disaffezione per il cammino europeo credo che soprattutto ci sia una forte delusione per gli esiti a cui è approdato. L’Unione Europea che ci propone il vertice comunitario è un strano oggetto, che sembra avere ben poco di comune con il progetto originario di De Gasperi, Schuman ed Adenauer. Non ha definito e motivato i propri confini poiché, ad esempio, ci può entrare la Turchia se si comporta bene in tema di diritti, ma non la Russia che è parte del nostro continente e che ha dato un contributo significativo all’edificazione del patrimonio culturale europeo (musica, letteratura, arte figurativa). Rifiuta le sue radici e non solo quella cristiana. Non ha una identità perché non riconosce le realtà storico-valoriali, anzi le considera inutili zavorre. Non ha un progetto politico, un’idea di futuro, perché pone l’economia, la concorrenza e il mercato sopra ogni cosa. Non si presenta sulla scena internazionale con una comune volontà, né ha creato un proprio esercito, perché privilegia l’Occidente e la NATO rispetto alla difesa dei propri interessi.
Oggi, inoltre, il ceto politico espresso dall’Europa comunitaria sembra essere diventato il principale interprete e portavoce del “politicamente corretto”, lo strumento grazie al quale si tenta di imporre il pensiero unico e di giustificare crescenti limitazioni alla libertà di parola a chi non si riconosce in esso. Su “Avvenire” del 7 maggio scorso, Francesco D’Agostino ha rilevato la necessità di tenere ben distinti il concetto di Stato e quello di Nazione. Lo Stato è una struttura politica, la Nazione una realtà storico-valoriale. Oggi, per il principio di laicità, le strutture dello Stato non possono identificarsi con strutture non politiche (nazione, religione, lingua, cultura ecc.): ma la laicità politica dello Stato non significa indifferenza od ostilità nei confronti di identità di carattere nazionale, religioso o linguistico. Lo Stato, ci dice l’editorialista, ha bisogno di queste strutture meta-politiche, perché da esse può assorbire dimensioni valoriali che da solo non è in grado di elaborare. Invece tutta l’attuale dominante ideologia neoilluministica, in cui si riconosce il ceto politico e tecnocratico espresso dall’Europa comunitaria, nega il valore di queste strutture meta-politiche e proclama il carattere negativo delle eredità di carattere storico-valoriale, viste come vincoli costrittivi di cui bisogna sbarazzarsi per emanciparsi ed essere liberi.
Emblematiche in questo senso sono le recenti dichiarazioni di Vincent Peillon, nuovo ministro della pubblica istruzione francese: “Per dare libertà di scelta, bisogna essere capaci di strappare l’alunno a tutti i determinismi, familiare, etnico, sociale, intellettuale”. Ma una società fatta di individui privi di appartenenza, di memoria, di riferimenti normativi e culturali condivisi, diventa un semplice e labile aggregato di singoli sradicati, interscambiabili, incapaci di sottrarsi ai condizionamenti del mercato che impone consumi, comportamenti e pseudo valori (le mode, il nuovo in quanto tale). Gli esseri umani privi di legami e di appartenenze diventano preda del conformismo di massa, terreno fertile per nuovi totalitarismi.
Un’Europa che voglia realizzare una integrazione politica fondata esclusivamente su una carta dei “diritti” e su un “patriottismo costituzionale”, rifiutando tutti gli altri elementi identitari, è inevitabilmente destinata al fallimento. È invece necessaria una forte identità europea fondata sulla tradizione storica e culturale, senza la quale non è possibile un confronto aperto e costruttivo con le altre culture di un mondo sempre più interdipendente. In assenza di una forte identità, prevale il timore verso ciò che è altro, con le conseguenti chiusure che si evidenziano anche nella mancanza di voglia di futuro, avvertito come minaccioso e come un limite del presente. La denatalità che affligge il nostro continente è la più evidente manifestazione di questa sfiducia nel futuro e nel contempo è la causa prima della decadenza europea, anche sul piano economico.


Aldo Cantoni - 2013-07-14
Il "labile aggregato di singoli sradicati" è quanto di meglio possa desiderare un qualsiasi potere forte che voglia dominare con una violenza reale cammuffata da mansueta non violenza. Il mondo politico (soprattutto quello che si definisce di ispirazione cristiana) è impotente o sotto sotto consenziente? Insomma c'è stupidità o malafede?
Franco Campia - 2013-07-12
Ho letto con grande interesse, trovandovi profonda consonanza, questo scritto di Beppe Ladetto, nel quale è descritta con assoluta lucidità  la debolezza culturale che mina la crescita dell'Unione Europea. Non credo, per altro, che la disaffezione di cui parla Ladetto all'inizio del suo scritto sia ancora troppo estesa né che abbia una radice "nobile", di ordine ideale, ma - molto terra terra - sia sostanzialmente legata alla crisi economica che vive il Paese. Il problema però esiste eccome, come aveva già  denunciato Papa Benedetto ed ha iniziato a fare il suo Successore, che però, venendo dalla "fine del mondo", forse non ha ancora del tutto preso le misure di quanto sia inaridita ed inquinata la vecchia Europa, in fondo spesso idealizzata dagli Argentini. Ma che dire di noi, poveri noi, che cominciamo a sentire il profumo di elezioni europee e rischieremo di dover scegliere nelle urne il male minore tra Liberali e Socialisti, ossia tra le due facce del Pensiero Unico?
Carlo Baviera - 2013-07-11
Come non concordare? Per questo serve una forte sterzata alla costruzione dell'Europa. Per le proossime elezioni europee l'obiettivo (per le forze politiche che ci stanno) deve essere l'Unità politica; e il depotenziamento della burocrazia che impone la propria visione culturale, economica, sociale ... e religiosa. Anche in Europa è necessario trovare forme di partecipazione della società civile.