In Italia, ci dicono i media, si riscontra un diffuso sentimento “antieuropeo” che attribuisce alle direttive del vertice comunitario tutti i mali del nostro Paese. In realtà, a provocare disaffezione per il cammino europeo credo che soprattutto ci sia una forte delusione per gli esiti a cui è approdato. L’Unione Europea che ci propone il vertice comunitario è un strano oggetto, che sembra avere ben poco di comune con il progetto originario di De Gasperi, Schuman ed Adenauer. Non ha definito e motivato i propri confini poiché, ad esempio, ci può entrare la Turchia se si comporta bene in tema di diritti, ma non la Russia che è parte del nostro continente e che ha dato un contributo significativo all’edificazione del patrimonio culturale europeo (musica, letteratura, arte figurativa). Rifiuta le sue radici e non solo quella cristiana. Non ha una identità perché non riconosce le realtà storico-valoriali, anzi le considera inutili zavorre. Non ha un progetto politico, un’idea di futuro, perché pone l’economia, la concorrenza e il mercato sopra ogni cosa. Non si presenta sulla scena internazionale con una comune volontà, né ha creato un proprio esercito, perché privilegia l’Occidente e la NATO rispetto alla difesa dei propri interessi.
Oggi, inoltre, il ceto politico espresso dall’Europa comunitaria sembra essere diventato il principale interprete e portavoce del “politicamente corretto”, lo strumento grazie al quale si tenta di imporre il pensiero unico e di giustificare crescenti limitazioni alla libertà di parola a chi non si riconosce in esso. Su “Avvenire” del 7 maggio scorso, Francesco D’Agostino ha rilevato la necessità di tenere ben distinti il concetto di Stato e quello di Nazione. Lo Stato è una struttura politica, la Nazione una realtà storico-valoriale. Oggi, per il principio di laicità, le strutture dello Stato non possono identificarsi con strutture non politiche (nazione, religione, lingua, cultura ecc.): ma la laicità politica dello Stato non significa indifferenza od ostilità nei confronti di identità di carattere nazionale, religioso o linguistico. Lo Stato, ci dice l’editorialista, ha bisogno di queste strutture meta-politiche, perché da esse può assorbire dimensioni valoriali che da solo non è in grado di elaborare. Invece tutta l’attuale dominante ideologia neoilluministica, in cui si riconosce il ceto politico e tecnocratico espresso dall’Europa comunitaria, nega il valore di queste strutture meta-politiche e proclama il carattere negativo delle eredità di carattere storico-valoriale, viste come vincoli costrittivi di cui bisogna sbarazzarsi per emanciparsi ed essere liberi.
Emblematiche in questo senso sono le recenti dichiarazioni di Vincent Peillon, nuovo ministro della pubblica istruzione francese: “Per dare libertà di scelta, bisogna essere capaci di strappare l’alunno a tutti i determinismi, familiare, etnico, sociale, intellettuale”. Ma una società fatta di individui privi di appartenenza, di memoria, di riferimenti normativi e culturali condivisi, diventa un semplice e labile aggregato di singoli sradicati, interscambiabili, incapaci di sottrarsi ai condizionamenti del mercato che impone consumi, comportamenti e pseudo valori (le mode, il nuovo in quanto tale). Gli esseri umani privi di legami e di appartenenze diventano preda del conformismo di massa, terreno fertile per nuovi totalitarismi.
Un’Europa che voglia realizzare una integrazione politica fondata esclusivamente su una carta dei “diritti” e su un “patriottismo costituzionale”, rifiutando tutti gli altri elementi identitari, è inevitabilmente destinata al fallimento. È invece necessaria una forte identità europea fondata sulla tradizione storica e culturale, senza la quale non è possibile un confronto aperto e costruttivo con le altre culture di un mondo sempre più interdipendente. In assenza di una forte identità, prevale il timore verso ciò che è altro, con le conseguenti chiusure che si evidenziano anche nella mancanza di voglia di futuro, avvertito come minaccioso e come un limite del presente. La denatalità che affligge il nostro continente è la più evidente manifestazione di questa sfiducia nel futuro e nel contempo è la causa prima della decadenza europea, anche sul piano economico. |