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La lezione di Adriano Olivetti
 
di Aldo Novellini
 

Il breve testo di Adriano Olivetti “Ai lavoratori”, è stato ripubblicato (dalle Edizioni di Comunità) con la prefazione del sociologo Luciano Gallino. Dedicato a due importanti discorsi che l'imprenditore di Ivrea fece agli anziani, alle cosiddette “Spille d'oro”, con venticinque anni di lavoro in azienda (1954), e agli operai, per l'apertura dello stabilimento di Pozzuoli (1955), in entrambi i casi viene delineato uno sviluppo nel quale al conseguimento del profitto si affianca la sostenibilità sociale.
Filo conduttore, l’idea che il lavoro sia un valore da tutelare, perché in esso sono racchiusi l'impegno e la competenza delle persone. E l'azienda è chiamata a tutelare questi valori perché, in fondo, è grazie ad essi se è in grado di fare profitti.
Adriano Olivetti ritiene decisivo il principio di restituzione, per cui da un lato la fabbrica esige molto dai lavoratori, in termini di dedizione, di fatica, di orari spesso pesanti ma da altro canto ha il dovere di restituire qualcosa alle persone e alle loro famiglie sotto forma di buoni salari e di servizi sociali (mensa, asilo nido, biblioteca, centri sportivi, ecc...). Chi è in debito non è il lavoratore ma l'azienda. Oggi invece il concetto è stato capovolto e chi lavora viene considerato un mero fattore produttivo, semplice ingranaggio di un'incessante compressione dei costi del personale. Una realtà ove è tutto un parlare di flessibilità della mano d'opera, curandosi poco o nulla se essa degenera in una drammatica precarietà non soltanto economica ma persino esistenziale.
Gallino evidenzia come negli ultimi decenni è addirittura cambiata la concezione dell’impresa. Sono mutati i criteri stessi di retribuzione del manager, affermandosi il dogma della massimizzazione del valore degli azionisti. Conta solo quello, e ciò ha deformato i criteri con cui si guida un’azienda. Un tempo il successo di un’impresa veniva misurato dalla creazione di nuova occupazione, dall’aumento del fatturato, dalla realizzazione di nuovi stabilimenti. Oggi il valore dell’azionista può crescere in modi diversi e, nel breve periodo, può addirittura salire quando si chiudono le fabbriche e si licenziano i lavoratori, poiché si riducono costi e oneri salariali.
Uno degli aspetti più deteriori sono anche i compensi astronomici dei manager. Se un paio di decenni fa, il rapporto tra il guadagno degli alti dirigenti e il salario medio di un dipendente era circa di trenta volte, oggi è di trecento. Non è soltanto una grave questione etica ma anche un problema di sostenibilità economica. Per pagare queste cifre si sottraggono infatti risorse che l'azienda potrebbe destinare a favore di altri lavoratori, creando nuova occupazione. Siamo davvero di fronte a un modello che sta producendo guasti agli assetti economici e sociali.
Uno di questi guasti è la sostanziale deindustrializzazione che oggi rischia di condannarci a posizioni di subordine nello scacchiere economico mondiale. Niente di inevitabile, visto che Paesi a noi vicini come Francia e Germania, pur soffrendo di molti problemi, sono ben lungi dall'aver imboccato questa pericolosa china discendente. D'altra parte investendo in ricerca e sviluppo appena l’1,2% del PIL, un terzo di quanto facciano Berlino e Parigi, non possiamo certo pensare di competere seriamente sulla qualità del prodotto o del processo.
Fenomeno altrettanto grave è poi il mancato riconoscimento del lavoro. La flessibilità ha generato, dal lato sociale, ampie sacche di precarietà e di sfruttamento; nello stesso tempo, sul fronte produttivo, ha creato una forza lavoro sempre meno qualificata e dunque ben poco adatta a complesse attività ad elevato valore aggiunto. Stiamo divenendo un Paese produttore di beni a scarso contenuto tecnologico. Per risalire la corrente, occorre recuperare in professionalità, puntare su lavori più stabili e meglio remunerati.
D'altronde la dimensione nazionale è ormai insufficiente sia per salvare il nostro modello sociale sia per competere con giganti come Cina o Stati Uniti. Muovendosi separatamente Italia, Francia o Germania rischiano di essere irrilevanti. Mai come oggi serve invece un'azione su scala europea, superando veti politici incrociati e ritrosie culturali che stanno affossando il cammino verso l'integrazione e che tarpano le ali al nostro sviluppo.


Luchino Antonella - 2013-07-01
Buongiorno, agganciandomi all'intervento del Signor Cicoria, voglio mettere in evidenza anche quanti aiuti in denaro (da parte dello Stato e quindi di tutti noi cittadini), nel corso degli anni,sono stati elargiti a quelle aziende che poi hanno trasferito la loro attivita' all'estero. Perche' lo Stato italiano non chiede il rientro di queste somme con gli interessi? Qualcuno probabilmente mi rispondera' che questa e' pura utopia.....
giuseppe cicoria - 2013-06-29
Ai consolidati mali degli italiani si è aggiunta anche una precipitosa ed irresponsabile globalizzazione voluta da industriali che si sono modificati geneticamente in finanzieri. Per il solito principio dei vasi comunicanti è stata inevitabile la tendenza al livellamento delle condizioni economiche e sociali di mondi totalmente diversi. Si spiega così la lotta dei "finanzieri" a togliere molto ai lavoratori europei e a far crescere lentamente le condizioni dei lavoratori extra europei. Gli ex-industriali producono a quattro soldi all'estero. Vendono a caro prezzo in Europa e fanno passare le contrattazioni nei paradisi fiscali. Ottengono così il beneficio di accumulare forti guadagni all'estero che non vengono reinvestiti in patria, con l'aggravante di essere esentasse in Italia. Il dottor Squinzi dovrebbe guardare meglio questo fenomeno prima di lamentarsi sull'inefficienza della politica. Non è che i suoi rappresentati "chiagnono e.....fott..." come dicono i napoletani? Gli USA hanno iniziato ad impedire che i prodotti di aziende che hanno delocalizzato possano essere venduti nel loro paese. Perchè in italia permettiamo, ad esempio, che venga trasferita all'estero la produzione di calze da donna, che, poi, vendono vendute in Italia? Ho letto che anche la famosa Brembo (freni ad alta tecnologia) sta delocalizzando. Allora vuol dire che anche le produzioni di alta qualità ed alto valore aggiunto vengono tolte agli italiani. Il principio che i tedeschi vanno bene perchè costruiscono cose fatte bene e ad alto valore aggiunto e forse desueto? Se è così allora la faccenda è più grave di quanto si pensi. Bisogna seriamente rivedere il concetto di un completo libero mercato e porre in fretta qualche ostacolo prima che tutto crolli e venga fuori una rivolta sociale! Alla battuta su Grillo dell'amico Aldo a costo di perdere la sua amicizia voglio consigliare maggiore cautela perchè non si possono offendere 9 milioni di italiani. La verità è che i tradizionali politici, che sempre sono stati difesi, non solo hanno deluso ma ,attualmente, sono prevalentemente disprezzati per aver dimostrato completo distacco dai cittadini che ritengono di rappresentare, curando quasi esclusivamente i loro interessi e quelli delle loro associazioni o partiti. Grillo ha rappresentato una novità che ha stimolato un desiderio liberatorio da questa situazione di stallo. Se poi, per il momento, le aspettative sono state parzialmente deluse, ciò non vuol dire che bisogna rivalutare il preesistente. Grillo è stato accerchiato da tutti e da tutto per il prevalente ed esclusivo motivo di aver avuto l'ardire di pretendere l'attuazione dell'esito di un referendum popolare , che pretendeva di togliere il finanziamento pubblico ai partiti. Apriti cielo....! I fuoriusciti, finora, solo quelli che per "motivi ideologici" non vogliono ridursi la diaria. Brave persone...!
Aldo Cantoni - 2013-06-27
Caro Omonimo, articolo ineccepibile. Purtroppo nonostante i guai italiani da te citati siano noti da tempo come tipologia ed in crescita quantitativa, udiamo sempre e solo farne l' elenco, mai uno che abbia il coraggio di dire come se ne esce, quali i ruoli e quali i tempi. Ma allora a che titolo l' alta dirigenza italiana (non solo politica) occupa i posti che occupa e come è stata selezionata? E' anche vero che l' Italia che vota Grillo non merita di meglio....