In occasione della fiducia al governo delle “larghe intese”, Enrico Letta ha indicato in diciotto mesi il tempo necessario per approvare la revisione della Costituzione, dopo aver “messo in sicurezza” il sistema elettorale, per evitare di tornare voto con il “porcellum”. Ma dopo un mese il Parlamento ha votato, su proposta del governo, una risoluzione che affida a 35 saggi (e subito dopo a una “convenzione” di 40 parlamentari) il compito di redigere il testo di una revisione della Carta, derogando all'articolo 138 della Costituzione. Solo in seguito il Parlamento scioglierà il nodo del “porcellum”.
Con questa decisione sono state ratificate “larghe intese” che in altri tempi avrebbero fatto parlare di “inciucio”: la destra accetta il “doppio turno uninominale di collegio” per l’elezione dei parlamentari; la sinistra accetta l’elezione diretta di un presidente (o semi-presidente) cui sono affidate funzioni di governo. Secondo Letta l'alternativa a questo accordo sarebbe stato il caos. Tuttavia discutere di “presidenzialismo” senza aver messo in sicurezza il sistema elettorale, significa restare prigionieri di Berlusconi, anche se Letta ha dichiarato che non è il Cavaliere a dettare il programma del governo e anche se Napolitano ha promesso di vigilare sul Parlamento.
D'altra parte, che la situazione sia confusa, lo dimostra ogni giorno la cronaca.
Romano Prodi ha sostenuto su “Il Messaggero” che il semi-presidenzialismo francese è la medicina giusta per i mali della democrazia italiana, poiché cura la frammentazione politica e garantisce la governabilità. Ma Rosy Bindi ha dichiarato in una intervista a “La Stampa”, di non essere disposta a stracciare la Carta del '48 per favorire “larghe intese” che rimettono in campo il Cavaliere. Così una maggioranza parlamentare molto vasta, ma attraversata da profonde divisioni, avvia una fase politica destinata a riaprire molte ferite, soprattutto nel centrosinistra, in vista del congresso PD.
A ridosso del 2 giugno, due convegni di segno opposto hanno svelato di cosa si tratta.
Il primo ha lanciato, da Roma, la campagna a favore del semi-presidenzialismo. Il secondo si è subito schierato, da Bologna, a difesa della centralità del Parlamento. Barbera e Ceccanti, che si considerano “innovatori” poiché intendono cambiare la Costituzione, hanno sostenuto che a Bologna si sono riuniti i prigionieri del “complesso del tiranno”, quelli che non comprendono che la politica moderna deve avere la capacità di decidere. Zagrebelsky e Rodotà hanno accusato gli innovatori di essere al servizio di una oligarchia che si propone di concentrare il potere nelle mani di un uomo, di negare il valore della partecipazione, di indebolire la centralità del Parlamento e il ruolo dei partiti, di aprire la strada al populismo.
Non si può negare che la personalizzazione della politica è all’origine della frammentazione della rappresentanza; e in questo senso chi fa riferimento al modello del “sindaco” per sostenere l'importanza del semi-presidenzialismo, in realtà intende ridurre al lumicino il ruolo del Parlamento, come è accaduto ai Consigli comunali e come è accaduto in Francia all'Assemblea nazionale. D'altra parte, le ultime elezioni amministrative sono state caratterizzate da coalizioni interessate solo alla conquista del potere e da una pesantissima esplosione delle astensioni. Anche questa è modernità?
Non dovremmo dimenticare che su alcune riforme della politica, che garantirebbero la governabilità senza stravolgere la Costituzione, c’è da tempo un’intesa che va oltre la stessa maggioranza delle larghe intese: questa intesa riguarda il superamento del bicameralismo perfetto in funzione del federalismo, il rafforzamento del ruolo del premier, la riduzione del numero dei parlamentari… Perché non approvare – con la procedura dell’art.138 e con una maggioranza qualificata che evita il referendum confermativo – queste riforme della Costituzione?
A questa scelta si oppone il fatto che secondo i sostenitori del semi-presidenzialismo stiamo già vivendo un ciclo post-democratico: i partiti e il Parlamento sono già strumenti obsoleti. Ma se le cose stanno così, prepariamoci ad affrontare anche il prossimo obiettivo degli “innovatori”: la demolizione dello stato sociale.
Di questo complesso di questioni dovrà discutere il congresso del PD, e allora capiremo qual è l’identità del PD, chi sono i conservatori e chi i riformatori. |