Molti sostengono che il prossimo congresso del PD sarà “fondativo”. Dico, sottovoce, che queste espressioni un po’ mi inquietano perché quando un partito sostiene la necessità di fare congressi “fondativi” ogni 3-4 anni, significa che quel partito ha un profilo incerto, una identità balbettante e una prospettiva ballerina.
Pare un partito che non ha ancora trovato la sua strada. Quello che oggi serve è mettere a confronto tesi politiche, e quindi candidati a segretario, che indichino con chiarezza la prospettiva politica del Partito democratico nei prossimi anni. E soprattutto ne indichino con altrettanta chiarezza il profilo politico e culturale. Perché delle due l’una: o il confronto si riduce ad essere la solita passerella mediatica di personaggi più o meno mediocri che sfruttano il congresso come semplice tassello per la propria carriera personale e di corrente, oppure trionfa e vince la politica. Cioè quei benedetti “contenuti” che tutti rivendicano a parole ma pochi praticano nella concreta declinazione quotidiana.
Senza sminuire le candidature che stanno emergendo nel dibattito all’interno del Partito democratico, l’unica valutazione che va fatta è distinguere quelle che offrono una prospettiva politica al PD da quelle che invece offrono una prospettiva di carriera ai candidati a segretario del PD.
E allora sarebbe necessario avere risposte concrete almeno a tre questioni che restano centrali per la stessa sopravvivenza del Partito democratico.
Innanzitutto si vuole conservare la “pluralità” culturale del PD? La domanda non è retorica, perché su questo punto si gioca una partita decisiva per il profilo culturale del partito. Tutti sappiamo che in alcuni settori c’è una profonda insofferenza verso aree culturali che hanno contribuito a far decollare la scommessa del Partito democratico. Mi riferisco, tanto per essere chiaro, all’area popolare e cattolico democratica. Atteggiamento, questo, che non può avere cittadinanza all’interno di un partito nato all’insegna della pluralità culturale e destinato a involversi se dovesse rinunciare, per la civetteria di qualcuno, a questa specificità.
In secondo luogo il profilo di governo del partito. Se la cifra politica del PD diventa il massimalismo, l’estremismo, la rincorsa di tutto ciò che proviene dalla “piazza”, la sua deriva grillina diventerebbe più che concreta. Dico questo perché nell’attuale PD, soprattutto in alcuni settori della sua base militante, la “corrente grillina” è forte e consistente. Un nuovismo che rischia, se non governato, di far deragliare il partito lungo i rivoli di un soggetto politico che difficilmente potrebbe porsi come elemento garante di cultura di governo e fattore di modernizzazione politica e sociale. Anche su questo versante il confronto deve essere chiaro, pena trasformare il partito in un contenitore elettorale dove convive tutto e il contrario di tutto.
In ultimo il profilo organizzativo del partito. So benissimo che molti sostengono la singolare idea che senza le primarie – a tutti i livelli, per tutto e per tutti – il partito cesserebbe addirittura di esistere. Una tesi singolare quella che vede prevalere il fattore organizzativo e regolamentare su quello politico, culturale e programmatico. Una tesi che impedisce, di fatto, a qualunque gruppo dirigente di poter fare scelte se non vengono prima selezionate e disciplinate attraverso le primarie. Pur senza mettere in discussione – Dio mi scampi! – il “mito fondativo” delle primarie, è indubbio che il profilo organizzativo del PD non è secondario rispetto a come questo partito si presenta di fronte alla pubblica opinione. Basta ricordare l’esito delle primarie per i parlamentari di Natale e Capodanno e il drammatico risultato che si è avuto con l’elezione del Capo dello Stato per arrivare a una semplice conclusione: anche le primarie non sono un dogma infallibile e intoccabile ma restano, come suggerisce anche il buon senso, uno strumento burocratico e regolamentare utile e necessario ma da usare con rigore e coscienza.
Insomma, dal confronto precongressuale capiremo anche quale sarà il biglietto da visita con cui il PD si presenta nei prossimi mesi di fronte alla pubblica opinione. E proprio dalla piattaforma politica dei singoli candidati alla segreteria nazionale arriverà la risposta a queste e altre domande.
Una sola avvertenza. Per favore, adesso risparmiateci lo sventolio della carta di identità, il “tutti a casa”, la litania sui mandati e sulle incompatibilità, “io sono più nuovo di te” e via discorrendo. Fate sì che adesso prevalgano i contenuti, il profilo culturale del partito e la sua prospettiva politica. Per il bene del PD e dello stesso centrosinistra. |