Con le dimissioni del governo Monti e lo scioglimento anticipato del Parlamento, è tramontata una “legislatura da dimenticare”, insieme al 2012 e alla seconda Repubblica. Tuttavia questa legislatura ha lasciato in eredità al 2013 un sistema elettorale che renderà più difficile la svolta verso la terza Repubblica.
La mancata riforma del “porcellum” è una ragione dell'amarezza che ha segnato l'ultimo messaggio televisivo del presidente Napolitano. Con questo sistema, che favorisce le ammucchiate, Berlusconi tenterà di ricostruire l’alleanza con la Lega, anche a costo di rinunciare alla premiership; e il PD cercherà di conquistare una maggioranza assoluta a Montecitorio, che lascia però incerto l'esito del Senato. Sia la destra che la sinistra hanno affidato al “porcellum” il compito di comprimere lo spazio elettorale dell'area intermedia, anche se non ignorano che il sistema bipolare ha ingessato la vita democratica senza garantire la governabilità, ha esaltato la personalizzazione della politica aumentando per questa via la frammentazione della rappresentanza parlamentare, e infine ha favorito il dilagare del populismo. Tuttavia, per respingere il sospetto di non avere fatto tutto il possibile al fine di ridare agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, Bersani ha promosso le “parlamentarie” per i candidati alla Camera e al Senato. E questa decisione, questo esercizio di democrazia (peraltro amministrato dall'alto), ha rafforzato l'immagine del Partito Democratico, cui i sondaggi assegnano più del 35 per cento dei consensi.
In questa complicata fase della vita nazionale, la “salita in politica” di Monti sta comportando un profondo rimescolamento delle carte. Ma quando il Professore, da tecnico al di sopra delle parti, diventa il protagonista di una competizione elettorale, è inevitabile che si scatenino contro di lui le polemiche più aspre. D'altra parte per evitare che insieme a Berlusconi declini il bipolarismo, anche Bersani ha cercato di “chiudere tra parentesi” la vicenda del governo tecnico, considerandolo una breve “sospensione della democrazia”. Ma non si può immaginare che il presidente della Repubblica, quando ha nominato Mario Monti senatore a vita e lo ha incaricato di formare un governo tecnico per evitare il default dell'Italia, ignorasse che l'ex commissario europeo aveva già espresso forti critiche al regime bipolare.
In realtà quando il governo tecnico ha ottenuto il voto di fiducia dal Parlamento (autunno del 2011), ho ricordato che già nell'estate del 2005 Monti considerava la destra e la sinistra incapaci di “guidare la transizione verso una moderna economia di mercato”, e aveva dichiarato alla “Stampa” e al “Corriere” che in un contesto sociale ed economico reso più difficile dalla mondializzazione dei mercati sarebbe stato necessario un grande centro, che però “che non c'è”. Monti fu allora accusato di nostalgia, anche se aveva subito precisato che il giudizio sul passato era ormai compito degli storici. Non lo si può quindi liquidare opponendogli una questione “morale”, come hanno fatto, anche se con toni diversi, D'Alema, Vendola e Berlusconi.
È stato il fallimento di Berlusconi, è stata la “strana maggioranza” parlamentare che ha sostenuto il governo tecnico, a certificare la fine “politica” del bipolarismo. Evitando il default dell'economia il governo Monti ha evitato – come ha ricordato Napolitano – il naufragio della democrazia. E ora, accettando di guidare “un movimento civico, popolare e responsabile”, Monti si pone esplicitamente in alternativa al conglomerato del PDL e della Lega, che stanno reagendo “con armi improprie”; ma si pone anche in competizione con una coalizione di centrosinistra che comprende una sinistra radicale da sempre in contrasto con la strategia montiana, considerata espressione del pensiero liberista.
Eugenio Scalfari su “Repubblica” teme che Monti, rivolgendosi all'Italia moderata con l'avvallo della gerarchia ecclesiastica, si proponga di ricostruire la DC e finisca così per riportare l'Italia al tempo della prima Repubblica. Con un ragionamento analogo, si potrebbe sostenere che il segretario del PD, quando tende la mano a Vendola, lo fa per ricostruire la sinistra storica, dissoltasi alla fine del '900, e anche per questa via si torna al passato. Questi approcci non tengono conto di quanto è cambiato in vent'anni l'orizzonte politico. In realtà la questione è più semplice e nello stesso tempo più difficile da risolvere: il declino del berlusconismo sta riaprendo un dibattito sulla transizione alla democrazia compiuta che Romano Prodi pensava di avere chiuso con l'Ulivo e con la cancellazione del “trattino” tra il centro e la sinistra. Su questo punto aveva ragione Massimo D'Alema quando parlava di un “amalgama mal riuscito” tra diessini e popolari. Chiediamoci perché Alfredo Reichlin può scrivere sull'Unità che la storia del PCI continua nel PD, mentre Franco Monaco scrive su “Europa” che nessuna nostalgia democristiana può rendere reversibile un approdo al pluralismo politico dei cattolici, che ha rappresentato “il superamento storico della DC e dei suoi epigoni popolari”. C'è del vero in queste riflessioni, che però costringono a riflettere anche su un fatto: le “parlamentarie” organizzate dal PD in vista delle elezioni di febbraio hanno registrato un evidente indebolimento delle candidature di espressione cattolico democratica. Può il PD, come partito plurale, sopravvivere al tramonto della sua componente popolare?
In realtà l'iniziativa di Monti sta rimescolando le carte anche nell'area intermedia: è sempre più chiaro che il centro – specie per chi si riferisce all'esperienza degasperiana – non è una formula geometrica ma una espressione della vita democratica, in una determinata fase della storia. Sia il centrosinistra (con Ichino e D'Ubaldo), sia la destra (con un elenco molto più consistente di persone), registrano slittamenti verso Monti. Il quale nega però di voler dare vita a un partito di centro o a un partito moderato. Parla piuttosto di un'agenda di riforme, di un movimento civico e di una transizione verso una nuova stagione della vita nazionale; e non tutti i ministri tecnici lo seguiranno in questa avventura politica.
Quale sia la questione politica cui si deve dare una risposta, che dovrebbe riguardare in particolare i politici di ispirazione cristiana, lo ha reso evidente un ministro che non ha nascosto rilievi critici alla stessa Agenda Monti. Fabrizio Barca ha sostenuto (ricordandomi un pensiero di Luigi Sturzo) che in politica è più importante il metodo che l'agenda (più l'azione che il programma). Il futuro non sarà del leaderismo poiché senza “partiti” non si governa una società democratica; ed è un errore dimenticare il contributo dato alla vita di questo paese dai liberal-socialisti e dai democristiani. Nella riflessione di Barca c'è una “cultura” da troppo tempo assente nei dibattiti politici. Anche Barca sostiene che l'Italia deve contare sull'Europa politica, che una politica prigioniera di un regime bipolare cadrà vittima del populismo, ed esalta il ruolo costituzionale del Parlamento, anima della democrazia. Ma quando entrerà in politica lo farà da sinistra, forse da laburista.
Una vera svolta politica deve radicarsi nella cultura. E purtroppo il bipolarismo, che sopravvive con il “porcellum”, spinge al trasformismo e alla radicalizzazione dello scontro elettorale, più che alla trasparenza. Tuttavia è probabile che, dopo il voto del 24 e 25 febbraio, si delinei una situazione a favore di un confronto, forse di un dialogo tra Bersani e Monti, poiché la forza delle cose renderà necessario costruire nel Parlamento un consenso più vasto di quello prodotto dal bipolarismo, per fare riforme che abbiano come obiettivo la “questione sociale”, centrale nell'agenda di Napolitano.
Nei prossimi giorni l'attenzione si concentrerà sugli schieramenti, sul gioco delle liste, sulla qualità morale delle candidature. Questa sarà la sfida decisiva tra le forze in campo, che non saranno solo quelle citate in questo articolo. Ciò che si conosce, prefigura un Parlamento radicalmente rinnovato, soprattutto dal punto di vista generazionale. Questa nuova generazione che si apre all'impegno politico saprà accogliere l'invito del Presidente della Repubblica per una competizione di idee, per una politica di valori non caratterizzata solamente dalla lotta per il potere?
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