Una cosa è certa: la presenza dei cattolici democratici nel PD era e resta decisiva per marcare la “pluralità” del partito da un lato, e per rendere più feconda e più riformista la proposta politica dall’altro. Del resto, è noto che di fronte alla liturgia, ormai un po’ noiosa e un po’ datata, che il PD non è altro che lo stanco prolungamento dell’esperienza e della storia della sinistra italiana, è facile rispondere con i fatti. E cioè, proprio i Popolari sono stati decisivi, con altri, nella costruzione del “progetto democratico” che non si può ridurre nel futuro, pena il suo fallimento, alla riedizione di un passato ormai archiviato a livello storico e a livello politico.
Ma è proprio nell’attuale fase politica che il contributo dei cattolici democratici richiede un soprassalto di dignità e di autorevolezza. La cosiddetta “resistenza” al berlusconismo, e a tutto ciò che ha rappresentato anche in termini culturali e di costume, è ormai alle nostre spalle. Anche se è bene non dimenticare che proprio in quella stagione di glorificazione effimera e di entusiasmo mondano del messaggio berlusconiano, solo la piccola pattuglia cattolico democratica – con pochi e sparuti altri compagni di viaggio – osò mettere in discussione nella variegata area cattolica la proposta politica di quel centrodestra.
Spiace ricordarlo, ma molti protagonisti dell’attuale “centro moderato” furono affascinati proprio da quelle parole d’ordine e dai messaggi virtuali che partivano dalle pompose centrali ideologiche del fondatore della Fininvest. Comunque sia, proprio quei cattolici democratici sono riusciti a mantenere, seppur tra mille difficoltà, la barra dritta e oggi possono autorevolmente e coraggiosamente dire che sono titolati a inaugurare, con altri, una nuova fase della democrazia nel nostro Paese. Una partita che però, e qui sta la differenza, deve essere giocata adesso non “contro” un avversario apparentemente irriducibile ma “per” la costruzione di una stagione di governo e di riforme che il Paese attende ormai da troppi anni. Una stagione che non può essere contrassegnata dal solo “ritorno delle sinistre” al governo come se fossimo in un gioco a specchi dove la contrapposizione è sempre sistemica e di alternatività quasi antropologica. No, adesso il centrosinistra democratico, riformista e di governo deve saper sprigionare proprio quella “cultura di governo” che ha sempre rivendicato e che, probabilmente, dopo il voto del 2013, sarà chiamato a declinare in prima persona.
Altro che l’alternativa di sinistra o il ritorno dell’Unione. In gioco c’è la possibilità di riscoprire proprio quella vena riformista e di profondo cambiamento che ha sempre caratterizzato le migliori stagioni del centrosinistra nella storia democratica del nostro Paese. E il PD è chiamato direttamente in causa. Proprio il PD, e cioè il partito riformista più consistente e più radicato nell’attuale fase politica e che può dimostrare adesso la sua vocazione riformista e di cambiamento.
È questa la sfida politica, culturale e programmatica dei cattolici democratici nel PD. Da pattuglia di resistenza alla degenerazione della presenza dei cattolici pro Berlusconi ad avanguardia per la riaffermazione di quei valori fondanti che giustificano ancora la nostra presenza nell’agone politico contemporaneo. Nessuna deriva socialdemocratica e nessuna assuefazione al “ritorno delle sinistre”. Del resto, il PD non è nato per quella prospettiva e la sua stessa “mission” non è mai stata quella di ripetere stancamente le esperienze del passato. Sotto questo profilo, la candidatura a premier di Bersani rappresenta un valore aggiunto e un riconoscimento della specificità di questa esperienza, della nostra esperienza, nel nuovo progetto di governo. E la sua citazione di Papa Giovanni nel recente confronto televisivo con gli altri candidati a premier del centrosinistra perché “riusciva a cambiare le cose nel profondo rassicurando e senza spaventare nessuno” è la conferma che il nostro futuro non rinnega il passato ma lo oltrepassa, senza nostalgie identitarie e senza regressioni ideologiche.
E proprio per centrare questo obiettivo va consolidato e assecondato il “progetto democratico”. Non stupisce, pertanto, che i cattolici democratici siano schierati convintamente con Bersani in queste primarie. Consapevoli, però, che c’è un compito tutto politico teso a fecondare la proposta del PD e del centrosinistra con le nostre idee e i nostri valori e un’altra esigenza, forse più culturale, proiettata invece a convincere settori dell’area cattolica italiana sulla bontà di questa scelta e di questa “mission”.
Certo, servono coraggio, audacia, intelligenza e forse anche impopolarità. Ma, del resto, lo dice la stessa storia ultradecennale del cattolicesimo democratico. La nostra non è mai stata una scelta di campo “comoda” o “accondiscendente”. E anche stavolta dovrà affrontare ostacoli e incomprensioni. Con la speranza però, e anche la fiducia, che nella nuova stagione politica che si sta per aprire conteranno sempre più le proposte e le idee che si mettono in campo per risolvere i problemi dei cittadini. Mutuando sino fondo il vecchio e attualissimo slogan di Pietro Scoppola: adesso più che mai servono “cultura del comportamento e cultura del progetto”. |