Come ha fatto Massimo Gramellini in un suo “Buongiorno”, vale la pena di soffermarsi su un aspetto del confronto televisivo tra i cinque candidati alle primarie del centrosinistra. Alla domanda su chi fossero i riferimenti culturali a cui ispirano la loro azione politica, sono seguite le seguenti risposte: Alcide De Gasperi per Bruno Tabacci, Tina Anselmi e Nilde Iotti per Laura Puppato, Nelson Mandela per Matteo Renzi, il cardinal Carlo Maria Martini per Nichi Vendola, papa Giovanni XXIII per Pierluigi Bersani.
Poteva essere scontata la scelta del grande statista trentino per il democristiano Tabacci, così come non stupisce che l’unica candidata abbia indicato due donne simbolo della Resistenza, una di ambito cattolico e l’altra comunista, o che Renzi abbia preferito un riferimento internazionale della lotta per i diritti civili. Fanno invece riflettere i riferimenti scelti da Bersani e Vendola. Proprio i due leader che vengono accusati anche dai cattolici democratici – impegnati nel PD e no – di spingere troppo verso sinistra la coalizione di centrosinistra, hanno scelto il “Papa buono” e il “Cardinale del dialogo”. Una soddisfazione per chi proviene dalla nostra storia e che, magari, avrebbe aggiunto le icone di due semplici preti, Luigi Sturzo e Lorenzo Milani.
Si potrebbe pensare a un puerile tentativo dei due politici di blandire una parte “non fidelizzata” dell’elettorato. Non credo però si sia trattato di una scelta calcolata, perché in termini di voti il pubblico apprezzamento di un Papa e di un Cardinale può portare consenso da una parte ma rischia di perderlo da un’altra, visto che l’anticlericalismo non è una componente marginale nella secolarizzata società italiana. Pensiamo alle esenzioni ICI e IMU per gli immobili di proprietà ecclesiastica, non destinati al culto o a finalità sociali, che indignano – statistiche alla mano – la maggior parte degli Italiani.
La risposta di Vendola e Bersani, non scontata e non giustificata da calcoli elettorali, va perciò ritenuta sincera. Dopo tutto Vendola non ha mai nascosto la sua fede, mentre Bersani si è laureato in filosofia con una tesi in Storia del Cristianesimo su papa Gregorio Magno. E prima ancora di diventare segretario del PD, in una intervista al “Corriere” sosteneva l’esigenza di “recuperare quelle che sono le nostre radici più profonde: quelle cattoliche popolari e quelle socialiste. Radici che ci insegnano che se parti dagli ultimi, dai più deboli e sfortunati, sarai capace di costruire una società migliore per tutti”.
Ed è un ennesimo segno di quanto sia rilevante il pensiero cattolico nella cultura politica italiana: specie in chi, per formazione e sensibilità personale, si impegna – anche in partiti e movimenti assai diversi – per una società caratterizzata da maggiore eguaglianza e solidarietà.
Sappiamo bene che in diverse realtà locali si avverte nel PD il peso di chi proviene dal percorso PCI-PDS-DS. La “deriva egemonica” è un pericolo vero, da contrastare con forza. Ma non si può certo sostenere che la cultura cattolica abbia un peso irrilevante nel Partito Democratico.
Da destra avranno la possibilità di farne un calderone unico e ribadire l’avversione per la tanto disprezzata cultura “cattocomunista”. Certamente però il mondo cattolico non ha troppi motivi per sentirsi emarginato nella coalizione di centrosinistra e nel partito che ne è l’insostituibile perno, il PD. Come ha solo un pezzetto di ragione Gramellini nel ritenere che dovrebbe risentirsi un’altra fetta di elettori, che si sarebbero meglio sentiti rappresentati da altri “poster di sinistra: Berlinguer, Kennedy, Bobbio, Foa”.
Ma non serve a nulla giocare a chi ha più motivi di risentimento: il PD riuscirà a fare grandi cose quando tutti si sentiranno parte dello stesso progetto. Solo così i democratici, usciti dagli angusti recinti identitari, saranno capaci di agire nel campo aperto e complesso di una società in crisi che ha tanto bisogno di indicazioni e speranze per il futuro. |