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Non confondiamo il dito con la luna
 
di Giorgio Merlo
 

È curiosa la sicurezza con cui Pier Luigi Castagnetti annuncia il “fallimento” dei cattolici democratici e dei Popolari dopo l’avvento delle primarie del PD. È ancor più singolare la tesi che con la discesa in campo del sindaco di Firenze, accompagnata dal bombardamento mediatico propenso alla “rottamazione” di tutta la classe dirigente del PD – Popolari compresi – siamo entrati in un vicolo cieco da cui non possiamo più uscirne se non con il mesto ritiro a vita privata. Tesi rispettabili, ovviamente, ma da cui dissento radicalmente.
Innanzitutto perché i “fallimenti” in politica, come nella vita, normalmente sono personali e quasi mai collettivi. Fuorché si condivida un impianto ideologico che ha portato terrore, morte e distruzione. Come, purtroppo, è storicamente accaduto nel passato. Ma l’esperienza politica e culturale del popolarismo di ispirazione cristiana è “totalmente” un’altra e per darne un giudizio critico non si può che parlarne a titolo personale. In secondo luogo, almeno noi per favore, smettiamola di sventolare la carta di identità come arma rivoluzionaria e taumaturgica capace di cambiare il mondo e i connotati del sistema politico. Questo vuol dire rinnegare il ricambio generazionale e il rinnovamento della classe dirigente? Ovviamente no! Ma se il ricambio della classe dirigente è un fatto quasi naturale, direi fisiologico nel circuito della politica, è altrettanto vero che se è sufficiente predicare la “cacciata” e la “liquidazione” di tutta la classe dirigente del PD, e quindi anche della rappresentanza cattolico-democratica, per apparire forti e invincibili allora c’è da essere seriamente preoccupati sul nostro profilo e sulla nostra tenuta.
Mi rendo conto che nel clima di grillismo imperante, della violenta personalizzazione della politica e del divismo televisivo figlio della cultura berlusconiana dispensata a piene mani in questi ultimi vent’anni, il rischio di cadere nella trappola è molto alto. Io, forse controcorrente, resto aggrappato all’insegnamento che ho ricevuto da uomini come Carlo Donat-Cattin che a meta degli anni ’80 spiegava a noi giovani della sinistra DC che ogniqualvolta la politica entra in crisi subentrano le categorie del moralismo e del giovanilismo. Secondo l’adagio del vecchio Nenni che “c’è sempre un puro più puro che ti epura”. Un insegnamento datato? Non credo, soprattutto quando assisto a irreversibili annunci di “fallimenti” politici perché irrompe nella scena mediatica – e non sappiamo sin quando durerà il bombardamento propagandistico – un messaggio di “pulizia etnica”.
Semmai, e al di là della vecchia tentazione del “muoia Sansone e tutti i filistei”, resta aperto il vero tema politico, e cioè quale incidenza concreta questo filone culturale può ancora avere nel recinto del Partito Democratico. Se è vero, com’è vero, che la nostra prospettiva non si potrà mai ridurre a una sorta di “indipendenti di sinistra cattolici” in forma aggiornata e corretta rispetto al passato, è altrettanto vero che se ci sono una cultura comune e un quadro valoriale omogeneo, una eventuale ricomposizione di quest’area nel PD è un fatto ormai quasi obbligato. Ma che cosa c’entra tutto ciò con l’età, l’anagrafe e la carta di identità resta sostanzialmente un mistero. Perché il patrimonio culturale del cattolicesimo democratico è più credibile se passa attraverso un “format” mediaticamente più incalzante e più incisivo? Può darsi. Mi limito sommessamente a ricordare che è sufficiente spegnere i riflettori mediatici e quel messaggio rivoluzionario rischia di essere rapidamente archiviato e sostituito da altre parole d’ordine e altri slogan. Ma il tema del “protagonismo” o dell’“irrilevanza” politica, invece, resta sempre sullo sfondo. Quello sì. Che non va confuso con la “liquidazione” di quella classe dirigente che ha accompagnato e guidato sino ad oggi il percorso dei cattolici democratici nel PD.
Noi abbiamo una sola certezza, al di là dell’anagrafe. Che la nostra presenza nel PD si spegne progressivamente se si diventa politicamente satellitari, marginali e pertanto irrilevanti. Certo, nel contenitore politico identitario staremmo tutti meglio. La filiera politica e culturale sarebbe omogenea e coerente. Ma quella strada l’abbiamo coscientemente abbandonata con la confluenza del PPI nella Margherita e poi, a maggior ragione, con la nascita del PD.
Oggi siamo chiamati a un’altra sfida. Forse la più difficile. Quella di essere politicamente più incisivi perché capaci di condizionare le scelte politiche complessive. Scelte che passano lungo 3 crinali. Garantire la “pluralità” culturale del Partito Democratico. Evitare la deriva a sinistra di un partito che è nato e decollato con la “mission” di elaborare una cultura riformista che archiviasse definitivamente vecchi massimalismi ed estremismi. E, infine, dar vita ad un vero centrosinistra di governo capace di superare le vecchie formule e le vecchie ammucchiate contro il nemico di turno. Tre grandi sfide politiche, culturali e programmatiche. Grandi sfide che richiedono un “di più” di cultura politica, di coraggio e di coerenza con la propria storia. Che richiedono anche una rinnovata carta di identità. Ma che non ci si fermi a quella. Perché, come è evidente, chi si ferma lì guarda solo il dito. A noi, semmai, interessa la luna.


Adriano Frascaroli - 2012-10-15
"Innanzitutto perché i “fallimenti” in politica, come nella vita, normalmente sono personali e quasi mai collettivi." Non sono d'accordo! La politica è anche, se non soprattutto, competizione in cui chi vince o perde è sempre la squadra! Certo la squadra è più forte se il leader è forte. Infatti sono sempre citati quelli che lo sono stati nel passato (Donat Cattin, Nenni, Berlinguer ...), ma purtroppo non riusciamo più ad individuarne in tempi recenti e presenti. "Mi rendo conto che nel clima di grillismo imperante, della violenta personalizzazione della politica e del divismo televisivo figlio della cultura berlusconiana dispensata a piene mani in questi ultimi vent’anni, il rischio di cadere nella trappola è molto alto." Non sono d'accordo! E' in contraddizione con le tue citazioni precedenti. I leader ci sono sempre stati, servono con il loro carisma e la loro professionalità a far avanzare i progetti e a ottenere risultati creando e guidando una squadra di professionisti. E la televisione e i media in generale, li consacrano all'opinione pubblica nazionale ed internazionale. Le elezioni americane, ma anche quelle francesi per citare un altro esempio, si vincono in televisione, o vogliamo dare anche di questo la colpa a Berlusconi come troppe volte abbiamo fatto in questi anni per coprire la nostra insipienza. "E, infine, dar vita ad un vero centrosinistra di governo capace di superare le vecchie formule e le vecchie ammucchiate contro il nemico di turno. Tre grandi sfide politiche, culturali e programmatiche. Grandi sfide che richiedono un “di più” di cultura politica, di coraggio e di coerenza con la propria storia. Che richiedono anche una rinnovata carta di identità. Ma che non ci si fermi a quella." D'accordo! E quindi per realizzare ciò facciamo ostruzionismo a Renzi e ci alleaiamo con Vendola?
franco maletti - 2012-10-12
Condivido. Anche perchè Castagnetti, come coordinatore Nazionale della Associazione Culturale dei Popolari, mi sembra che negli anni abbia fatto ben poco per mantenerla in vita. A differenza di noi qui in Piemonte e anche grazie a Guido Bodrato. Ritengo quindi che Castagnetti, nelle sue riflessioni, renda tardivamente pubbliche sue convinzioni personali vecchie di anni. E spetterebbe a lui spiegare il perchè. Quello che non ritengo corretto a prescindere, è considerare chiusa una storia politica facendola coincidere con quella sua personale.