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Come si forma la classe dirigente?
 
di Giorgio Merlo
 

La selezione della classe dirigente continua a essere un tema fortemente gettonato nella politica italiana. Tema antico ma sempre attuale per le modalità concrete con cui si traduce nella concreta dialettica politica. Certo, questo è un nodo che risente delle diverse circostanze storiche. Oggi sarebbe quanto mai azzardato proporre un modello che sino a 15-20 anni fa era quasi scontato, anche nella politica, anzi soprattutto nella politica.
Dovrebbe essere ovvio che improvvisazione e superficialità non possono e non devono avere il sopravvento. E quindi, radicamento territoriale, rappresentatività sociale, elaborazione culturale e soprattutto militanza. Categorie che però oggi appaiono quasi lunari. Elementi che – lo dico con un pizzico di orgoglio autobiografico – erano le “condizioni” che ci ripeteva Carlo Donat-Cattin ai vari corsi di formazione per i giovani della sinistra DC di Forze Nuove agli inizi degli anni ’80. Ma condizioni che, oggi, pur mantenendo una bruciante attualità, rischiano di essere legate solo a una stagione ideologica e politicamente blindata.
È imbarazzante – almeno per quelli che provengono dall’educazione politica che ho sommariamente richiamato – assistere alle dichiarazioni dei vari leader rottamatori del PD che annunciano di essere seriamente in difficoltà se “correre” per fare il Premier, o il Ministro, o il Segretario nazionale del partito o il Presidente della propria Regione. Con tutto il rispetto del caso, si parla di incarichi politici e istituzionali come se si discutesse di concorrere a Presidente della Pro Loco o di una locale sezione dell’ANA. Trentenni che, dando per ormai acclarata la loro leadership e il loro carisma, puntano a conquistare le leve del potere. Ora, è indubbio che esiste il tema – sempre esistito in tutte le fasi storiche e in tutti i regimi politici – del ricambio della classe dirigente e della sua circolarità. Ma colpisce il cinismo nell’anteporre la conquista del potere personale rispetto a qualsiasi altra valutazione politica e progettuale, se non presentando l’eterna carta di identità come arma rivoluzionaria per spodestare gli “usurpatori” attuali e insediarsi nei luoghi di comando. Certo, il Quirinale per il momento è salvo. Ma solo per impossibilità anagrafica. Salvo repentine modifiche costituzionali…
Ora, al di là delle battute, sono due le domande di fondo a cui occorre dare una risposta seria: è sufficiente la sola dinamica organizzativistica – e cioè il ricorso al dio primarie – per sciogliere il nodo della selezione della classe dirigente? E, in secondo luogo, dove e come si forma l’attuale o futura classe dirigente del Paese?
Domande, credo legittime, che rimandano a una questione decisiva per il futuro e la “qualità” della nostra democrazia. E cioè, la politica è appaltata alla sola dimensione “tecnica” o alla sfrenata ambizione personale dei rottamatori di turno, oppure esige e richiede una formazione adeguata e permanente che – suffragata da competenze, specializzazione ed esperienza – continui ad avere una visione generale della società senza ridursi ad un approccio ragionieristico e vagamente efficientista?
Se non si affronta di petto questo tema la deriva demagogica e anagrafica dell’intero sistema politico e della democrazia è nei fatti e nessun partito riuscirà a fermarla.
Le sole ambizioni personali dei vari rottamatori non sono preoccupanti, ricordando la battuta del vecchio Nenni “c’è sempre un puro più puro che ti epura”. È sufficiente, cioè, essere più giovani per scalzarti. Più inquietante, invece, è il modello che si trasmette alle giovani generazioni. E cioè, la politica come investimento tra i tanti, prevalentemente momentaneo, e quindi sganciato da qualsiasi riferimento valoriale e progettuale se non quello ricorrente della carta di identità. Un fatto di marketing, di appeal elettorale calibrato sui sondaggi. Se questo diventa il parametro, è la stessa democrazia a uscirne sconfitta, all’interno e all’esterno del partito di riferimento.
Ecco perché il capitolo della selezione e della formazione della classe dirigente non è un tema marginale per le grandi organizzazioni democratiche, popolari e di massa. Quei partiti cioè non plasmati sul carisma e sulla “dittatura democratica” di una sola persona – fenomeno presente, come tutti sappiamo, sia a destra che a sinistra – e ancorati all’idea che il rispetto della pratica democratica è l’unico antidoto contro qualsiasi forma populista e autoritaria.
Una caratteristica che non si può né si deve eludere. A cominciare, appunto, dal PD.


Giorgio Merlo - 2012-09-04
Da Luciano Frigeri, che in gergo si direbbe la "vecchia guardia" c'e' solo da imparare. Purtroppo, caro Luciano, la formazione di un tempo e' ormai considerata un peso. Se non addirittura un fastidio dalle giovani generazioni che vanno di moda. Cioe' da quelli che a 35 anni sono indecisi se fare il Premier, il Ministro o il Presidente della Regione. Non devo ripetere il concetto, credo....Ma il tema va sicuramente e opportunamente approfondito. Organizzo un'iniziativa nel merito.
Luciano Frigieri - 2012-09-04
Caro Giorgio, se vuoi sul tema sono sempre pronto per un confronto, se vuoi "uno scontro", purché sia pubblico e pubblicizzato a dovere. Ho la presunzione di avere qualche esperienza acquisita sul campo, requisito che a volte manca a molti parlamentari. Attendo risposta.
franco maletti - 2012-09-03
Avendo avuto modo di conoscere in modo diretto alcune realtà locali del PD la vedo molto dura e difficile.Da parte di alcuni giovani non c'è alcun rispetto nei confronti degli anziani. Appena ottenuta una scheggia di potere si sentono dei padreterni. Impartiscono a destra e a manca giudizi tagliati con l'accetta. Sono refrattari ad ogni forma di dialogo. Non conoscono l'umiltà necessaria per apprendere dai più anziani quello che soltanto l'esperienza può insegnare. E' la logica del "tutto e subito". Ogni scorciatoia possibile viene affrontata senza preoccuparsi delle conseguenze etiche e morali, purchè sia personalmente utile e conveniente. Ma, soprattutto, quello che manca è la cultura. Così come manca la consapevolezza che la cultura è un lavoro che si deve esercitare ogni giorno se si vuole essere realmente liberi. E' come se i giovani avessero individuato nella politica il mezzo migliore per accasarsi economicamente e definitivamente. E che gli altri si arrangino.