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Occorre una democrazia 2.0
 
di Efisio Bova
 

Le crisi non diventano croniche per la mancanza di buone risposte: diventano croniche per la mancanza di buone domande. Infatti sono le domande che orientano il pensiero e l'azione; le risposte arrivano per ultime. E non sono le soluzioni ai problemi che mancano: è l'individuazione corretta dei problemi a essere carente.
Nel corso della mia esperienza professionale ho notato che molto spesso quando le persone si trovano davanti ad un problema difficile da discutere e da risolvere cosa fanno? Si creano una problema più semplice, anche inesistente, e ci si applicano con tutte le loro forze. Così risolvono il problema davanti a se stessi e agli altri di sentirsi incompetenti.
Nell'ambito politico si fa la stessa cosa. Chiunque può sdottorare con disinvoltura, tramite qualche slogan e battuta, su cose tipo il numero dei parlamentari, il limite dei mandati, la giusta retribuzione per un politico, il matrimonio dei gay ecc.
Dai problemi difficili (e che vanno a smuovere interessi reali) si tengono tutti lontani o al massimo dedicano qualche battuta massimalista. I problemi difficili vengono affrontati solo quando si è costretti dall'emergenza o da vincoli esterni: nel qual caso ci si affida al competente di turno (ieri a Ciampi, oggi a Monti).
Non è tutta colpa della classe politica. (che di colpe ne ha molte ma le divide equamente con la classe dirigente del paese) La questione è che oggi il mondo è davvero molto più complesso e richiede, per essere governato, un mix di visione generale e competenze specifiche che in pochi hanno modo di maturare. Ma andiamo oltre e diciamola tutta: la democrazia, così com'è strutturata oggi, è un sistema che non sembra in grado di governare il presente e progettare il futuro in modo adeguato. E infatti cede quote di sovranità sempre più significative al mondo economico.
In fondo il governo dei tecnici (che secondo me in questa fase è la cosa migliore dal punto di vista del bene comune) altro non è che la contemporanea accettazione di un temporaneo dispotismo illuminato e la confessione dell'incapacità di gestire la situazione con i mezzi ordinari.
Occorre una "democrazia 2.0" in grado di coniugare le esigenze della partecipazione con quelle dell'efficacia (cioè di risultati in tempi rapidi), le esigenze della rappresentatività con quelle della competenza.
Come ci si arriva?
Una tappa importante passa per la regolarizzazione dello status dei partiti. (il famoso articolo 49 della Costituzione). È uno dei passaggi fondamentali per introdurre in politica una cultura della
"compliance" che potrà aprire la strada ad una cultura della "responsabilità". Certamente si tratta di smuovere interessi enormi e di infastidire chi fino ad oggi è prosperato indisturbato nei territori nebbiosi della non-regolamentazione. Ma è un modo per rendere strutturale il miglioramento della politica senza affidarsi speranzosi alla conversione dei cuori.
Ma occorrerà anche andare oltre e inventarsi strumenti e modalità nuove per dare sostanza alla politica, sperando che quello splendido animale che è la democrazia trovi il modo di evolversi ed adattarsi al nuovo ambiente che ora la mette oggettivamente in crisi.


Antonio R. Labanca - 2012-08-04
Grazie, Eifisio, perché con poche pennellate indichi quale sia l'analisi del sistema politico dalla quale (ri)ripartire per sperare che la democrazia abbia futuro, ponendo la "vera questione" dell'arte della decisione. L'attuale stagione di sospensione della democrazia (e non solo in Italia) però deve anche far (ri)emergere un disegno di società nel quale ci si possa riconoscere come portatori di "estetica" e non solo di "etica".