Al di là delle modalità organizzative sulla elezione del futuro CdA della RAI, un elemento è indubbio: il PD vuole il rilancio della RAI, il miglioramento della qualità nella programmazione dei suoi palinsesti e, al contempo, un progressivo e netto allontanamento della politica dalle vicende gestionali dell’azienda.
Pertanto, l’accusa al PD – che circola in alcuni settori politici e giornalistici – di voler affossare la RAI perché da tempo richiede la riforma del suo assetto di governo, è ridicola e falsa. Semmai, c’è un rischio concreto che va battuto sul terreno politico e culturale: e cioè la volontà di privatizzare il servizio pubblico radiotelevisivo e quindi di liquidarlo. Del resto, qualunque sia l’ipotesi giuridica o politica che punta a privatizzare la RAI, l’obiettivo vero che si vuole perseguire è solo la distruzione di tutto ciò che è riconducibile alla “mission” del servizio pubblico. E non – come recita la vulgata qualunquista, demagogica e dissacrante – la tanto declamata “lottizzazione”.
La ragione per continuare ad avere un servizio pubblico affonda le sue motivazioni nella certezza di conservare il pluralismo e l’approfondimento politico e giornalistico che sarebbero inesorabilmente sacrificati se dovesse cessare quella specificità nel panorama informativo del nostro Paese.
È utile ricordare che le emittenti private oggi paladine di un credibile ed efficace servizio pubblico non sono nient’altro che l’espressione del proprio punto di vista. E cioè, legittima ma discutibile partigianeria e faziosità politica. Certo, è pur vero – come disse con efficacia il Presidente della Commissione di Vigilanza Sergio Zavoli – che a volte il pluralismo nell’attuale servizio pubblico si è progressivamente trasformato in una “sommatoria di faziosità”. Tuttavia è sempre meglio avere una sommatoria di faziosità che non la declinazione di un “pensiero unico”, seppur ammantato di modernità, di progressismo e di nuovismo. Un virus, quello della privatizzazione, politicamente trasversale, che può travolgere tutto. E sempre, come da copione, in nome del cambiamento e del rinnovamento.
Da Fini alla Lega, da settori del PDL ad alcuni mondi illuminati e salottieri della sinistra, per non parlare dei demagoghi alla Grillo, lo schieramento che punta alla liquidazione della RAI non è affatto debole.
E qualunque cedimento su questo versante può essere fatale non solo per il futuro del servizio pubblico ma per la stessa conservazione della democrazia nel nostro Paese.
Certo, al di là delle precise responsabilità della politica, non è indifferente alla causa la classe dirigente chiamata a guidare l’azienda di Viale Mazzini. Classe dirigente che, al di là delle fisiologiche polemiche che accompagnano ogni cambiamento al vertice, non può essere giudicata efficace e salvifica solo quando è composta da persone eccellenti e prestigiose ma del tutto estranee a tutto ciò che è riconducibile, seppure vagamente, ad un prodotto televisivo. E questo senza mettere in discussione la professionalità e il prestigio dei due dirigenti nominati dal Presidente del Consiglio a guidare la RAI per i prossimi tre anni. Semmai, per dirigere la RAI è indubbiamente necessario possedere capacità manageriali, ma non può essere un torto o un difetto aver maturato sul campo una specifica professionalità nel settore radiotelevisivo. Del resto, la triste stagione dei “professori” all’inizio degli anni ’90 aveva evidenziato come, sempre in nome della modernità, a volte si rischia di incappare in gestioni profondamente deficitarie.
Comunque sia, il confronto politico attorno alla RAI ruota sì sul recupero della specificità di un efficace e credibile servizio pubblico ma anche, e soprattutto, sulla ormai indispensabile e non più prorogabile riforma della governance interna alla azienda. E il PD, lo ripeto ancora una volta, vuole una RAI forte, competitiva, pluralista e trasparente.
Ad altri il compito di privatizzarla, di indebolirla e di azzerarla. Il PD sta sul fronte opposto. |