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Bettazzi, a cinquant’anni dal Concilio
 
di Aldo Novellini
 

“Il Concilio rappresentò una sede di ampio confronto tra verità di fede, comportamenti morali e mondo contemporaneo moderno con le sue ansie e le sue aspettative”. A dirlo è monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e uno dei pochi protagonisti conciliari ancora in vita, in un incontro dedicato al 50° anniversario di questo grande avvenimento della vita della Chiesa.
D’altra parte la Chiesa stava cambiando il suo approccio verso la società. Significativo punto di svolta di questi nuovi orizzonti, l’enciclica Pacem in Terris, promulgata da Giovanni XXIII nell’aprile 1963. Una riflessione sul valore della pace e dell'armoniosa convivenza tra i popoli, messe drammaticamente a repentaglio nell’autunno precedente con lo scontro USA-URSS sui missili cubani. Papa Roncalli volle dare al suo messaggio un respiro universale, parlando non ai soli cristiani ma a tutti gli uomini di buona volontà, perché ci sono dei beni, e la pace è tra questi, che appartengono all’umanità intera.
“Appare chiara – secondo Bettazzi – l’impronta di una Chiesa che cammina con l’umanità impegnata nelle difficoltà della vita concreta, proponendo una salvezza che è per tutti e non soltanto per i credenti. Il Concilio ha significato per la cristianità un’autentica rivoluzione copernicana. Venne a mutare persino la concezione stessa della Chiesa, non più da considerarsi unicamente come gerarchia ecclesiastica ma come tutto il popolo di Dio. Tutti siamo Chiesa, e ogni cristiano, quando si pone al servizio del prossimo, è un profeta perché in lui si manifesta la volontà di Dio”.
In questi decenni la società è profondamente mutata. Si è assistito a un vero e proprio cambiamento di mentalità nelle persone che molto spesso prende la forma di un confuso relativismo etico che pare privo di qualsiasi bussola per orientarsi. Bettazzi è ben conscio di questa difficile situazione ma ritiene che proprio in questi frangenti emerga il compito della Chiesa, “chiamata a calarsi nella realtà che la circonda, sempre tenendo a mente che il mondo si trasforma con l’amore. Servono pazienza, perseveranza e una fiduciosa attesa della presenza e dell’azione dello Spirito Santo”.
Uno dei frutti del Concilio è l’ecumenismo, puntando – come diceva Giovanni XXIII – a valorizzare le cose che ci uniscono, a cominciare dalla pace, dalla giustizia e dalla salvaguardia del creato. Per Bettazzi quello ecumenico è un cammino da percorrere fino in fondo, senza indugi, non soltanto per gli aspetti propriamente religiosi ma anche perché in grado avvicinare gli uomini gli uni agli altri, contribuendo a realizzare una miglior convivenza tra le genti.
Altrettanto decisivo per i credenti è il confronto con chi non crede. Un arricchimento reciproco, anche se Bettazzi ricorda che nei decenni scorsi, quando più forti erano le passioni ideologiche, questo rapporto era paradossalmente più facile. “Adesso tutto si è appiattito. Internet ci permette di conoscere ogni cosa, tutto e subito, ma il fatto è che spesso si tratta di nozioni pensate da altri e non elaborate da noi stessi. Per di più vi è il rischio di rimanere intrappolati in una dimensione banalmente orizzontale. Si dà risposta al ‘come’ ma non al ‘perché’ e vengono elusi altri più pressanti interrogativi: quelli legati al ‘cosa siamo’ e al significato della nostra vita”.
Più che mai c’è bisogno di una nuova evangelizzazione che per essere coerente con se stessa, non può che richiamarsi a una Chiesa povera e semplice. “In definitiva – ha concluso Bettazzi – si tratta di vedere il nostro mondo con gli occhi dei poveri, tutelando e promuovendo le ragioni dei più deboli. Tra i valori non negoziabili bisogna aggiungere la solidarietà con i poveri, perché è su quel terreno che i cristiani mostrano realmente cosa significhi credere in Gesù Cristo, divenendo testimoni credibili della propria fede anche di fronte a chi è lontano”.