Durante il dibattito che si è svolto lo scorso venerdì in via Barbaroux, diversi interventi hanno richiamato, a proposito della comune appartenenza al PD, l’immagine del sale della terra (Mt 5,13-16).
Di fronte alla diffusa insoddisfazione per le speranze ancora disattese dal Partito Democratico, espressa da molti amici durante la serata, questa immagine ci richiama alla necessità di non sottrarci al confronto continuo e costante con il resto del Partito. Se ci rinchiudiamo tra di noi, se cediamo alla tentazione di fare le valigie, veniamo meno alla nostra fondamentale vocazione ad andare nel mondo. Credo che sia questa piena consapevolezza ad averci spinto ad aderire alla Margherita prima e al PD poi, due partiti molto eterogenei al loro interno.
Eppure, a quattro anni dalla nascita del PD, è legittimo chiedersi innanzitutto se fino ad ora – sale della terra – lo siamo stati o meno. Abbiamo saputo dare sapore a questo PD, influenzarne l’azione e l’elaborazione?
Personalmente credo che sia innegabile un progressivo spostamento del PD verso il solco della tradizione socialista, tanto da ritenersi ormai questione d’attualità nel dibattito interno l’adesione all’Internazionale (http://www.lospiffero.com/ballatoio/la-via-italiana-al-socialismo-444.html). Quattro anni fa, i nostri eletti rimasero nel gruppo ELDR, poi con le elezioni del 2009 ci fecero digerire il gruppo PSE. Ora…
La pattuglia dei cattolici democratici del PD, partendo da una condizione di debolezza strutturale e progettuale (non solo sua, ma condivisa con il laicato in generale), ha saputo peggiorare la propria situazione dividendosi da subito in gruppuscoli che di volta in volta oscillavano tra il richiamo identitario e la strategia “dell’accordo separato” con gli ex-DS. Non siamo riusciti a creare ponti di comunicazione neanche con il – più vasto di quanto comunemente si creda – mondo cattolico che già militava nei DS. Molti, specie nelle province, hanno preferito la strada del progressivo disimpegno o delle liste civiche.
Ecco che allora questa immagine del sale della terra, che ha accompagnato quattro anni di dibattiti sul nostro spazio nel PD, diventa spesso auto-assolutoria delle nostre risibili percentuali congressuali. Diventa un’esaltazione del numero piccolo, dei pochi ma buoni, stravolgendone peraltro il significato originale, che invece era quello della secondarietà del numero, a fronte dell’importanza del “mescolarsi”, dell’andare a viso aperto nel mondo (non per niente è immediatamente seguita dall’immagine della “città sul monte”).
A volte ho persino l’impressione che strumentalmente venga utilizzata per “mettere fuori gioco” quanti faticosamente si spendono per ricomporre ad unità i tanti cattolici democratici impegnati nel PD, come se volersi riunire intorno ad un progetto comune possa far venire meno la volontà di questi ultimi di confrontarsi e ragionare insieme col resto del partito. Con l’ambizione di riuscire ad essere quel sale che fino ad ora, poiché troppo divisi, non siamo stati.
D’altronde, lasciatemi concludere con una battutaccia dai toni guareschiani, per salare un pentolone per la pasta, ci vuole un pugno di sale grosso, non uno spizzico di sale fino. |