La riflessione di monsignor Nosiglia si è rivelata un’ottima base di partenza per la serata dei Popolari torinesi, come si è potuto leggere nel resoconto pubblicato. Sarebbe però riduttivo pensare che il presule abbia parlato esclusivamente ai politici cattolici. Le sue considerazioni sono valide per chiunque si deve occupare di amministrare la cosa pubblica. Impossibile infatti prescindere dal richiamo alla “laicità” della politica, che va orientata al “bene comune”: con questi due valori di riferimento, la politica può essere “un’esigente forma di carità”, secondo la definizione di Paolo VI ricordata da Nosiglia. Bastano queste premesse a marcare la differenza con la concezione gentiloniana (più colto e fine che dire “mercantile”) della politica, praticata dalla Chiesa che conta nell’era berlusconiana.
Ai princìpi di fondo occorre però abbinare le azioni. Giorgio Merlo ha opportunamente richiamato la “cultura del comportamento” su cui tanto aveva insistito Pietro Scoppola nei suoi testi. Prima dei tecnicismi, degli spread, delle spending review, delle riforme elettorali e istituzionali, chi amministra la res publica deve recuperare l’etica dei comportamenti, unita anche ad una certa sobrietà, altra parola ricca di significati concreti dimenticata in Italia per alcuni decenni.
La centralità dei comportamenti virtuosi non serve solo a prendere le distanze da quella mala politica intrisa di ricerca spasmodica dell’interesse personale, di corruzione, di privilegio. Serve anche a individuare i compagni di viaggio nella difficile opera di governare gli Enti locali e lo Stato affermando la prassi della buona politica. Alla bella citazione del giudice Livatino, ucciso dalla mafia, proposta da Arnaldo Reviglio – “Essere credibili, prima di essere credenti” – vorrei aggiungere quella celebre del cardinal Tettamanzi a Verona nel 2006: “È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo”. Ne derivano un’attenzione e una disponibilità a collaborare senza pregiudizi con tutti coloro che si qualificano per l’onestà delle intenzioni e la passione civile orientata al bene comune. Non a caso monsignor Nosiglia ha ripreso la parabola del buon samaritano, che Gesù additò ad esempio di concreta solidarietà verso il prossimo, pur essendo componente, nel pregiudizio dei Giudei, di un di un popolo miscredente di cui era meglio diffidare. E il vescovo, nelle conclusioni, ha voluto rimarcare che “oltre all’unità nella fede c’è anche l’esigenza di collaborare con gli uomini di buona volontà ugualmente impegnati al servizio della cittadinanza”.
Il cristiano deve quindi impegnarsi in politica con animo aperto. Non gli è congeniale erigere steccati identitari. E non ne ha neppure convenienza, specie in una realtà caratterizzata da movimenti e partiti “plurali”. Se i cristiani devono cercare di essere “il sale della terra”, per dare il gusto del messaggio evangelico – in particolare delle Beatitudini richiamate da Nosiglia – all’intera società, allora devono “contaminarsi”. Se il sale rimane chiuso nella saliera con altro sale, preserva la sua “identità salina”, ma non dà sapore ai cibi. È solo quando si mescola con gli altri ingredienti che riesce a renderli gustosi. E a dimostrare la sua utilità ed importanza.
Riflessioni che possono contribuire al dibattito in corso tra i Popolari torinesi per orientarne le scelte politiche. |