Mi permetto di aggiungere poche considerazioni alle interessanti e stimolanti argomentazioni proposte dai relatori e dagli interventi di venerdì scorso, partendo dalle riflessioni di monsignor Nosiglia ai politici della Diocesi di Torino.
Propongo le cose che avrei detto nell’intervento, se il già ricco dibattito e i molti iscritti a parlare non avessero consigliato di soprassedere.
Intanto, le sofferenze e insofferenze dei Popolari derivano da un “mondo nuovo che nasce” (cioè da nuove situazioni) a cui non siamo ancora preparati e che fatichiamo a tradurre in proposte e progetti comprensibili soprattutto dai giovani. Oggi sono gli slogan e questioni simboliche (finanziamenti pubblici, costi della politica, compensi ai parlamentari, abolizione delle Provincie, riduzione dei dipendenti pubblici, ecc) che colpiscono di più; le persone ragionano (?) solo attraverso talk show e non hanno altre occasioni di parlare e ascoltare; si è sempre più attratti e preoccupati dalle cose locali e personali e anche il discorso sull’Europa si limita agli spread e ai tagli di bilancio per il rigore. Nessuno indica un progetto di società e una visione che dia speranza. E anche i cattolici, all’interno di alleanze o di partiti plurali non riescono a dare segnali pubblici di presenza caratterizzata da solidarietà, servizio alla pace e all’ambiente, dialogo tra i popoli, riforma delle istituzioni internazionali in senso democratico, Europa politica.
Secondo: la politica sembra ancora avvitata su questioni tradizionali, anche se importanti (riforma elettorale, bicameralismo, sistema istituzionale, ecc.). E le dispute politiche sono molte volte caratterizzate da polemiche tra partiti avversari, anziché entrare nel merito. In più, per una politica seria, i cattolici dovrebbero riprendere dal Convegno Ecclesiale di Palermo l’indicazione dei contenuti e i metodi della politica. Riguardo al metodo serve il servizio al bene comune (e non di parte), umiltà e mitezza, competenza e trasparenza, lealtà e rispetto verso gli avversari, dialogo. Quanto ai contenuti, il primato e la centralità della persona, tutela della vita umana in ogni istante, promozione della famiglia fondata sul matrimonio (pur tenendo conto della regolamentazione che va data a situazioni di convivenza nuove, che famiglia non sono), dignità e ruolo della donna nella vita sociale, libertà di educazione, giusto equilibrio tra i poteri dello stato, valorizzazione delle autonomie, centralità del lavoro, giustizia sociale, efficienza del sistema economico, sviluppo dell’occupazione, attenzione alle aree disagiate e alle fasce deboli, la pace e la solidarietà internazionale, rispetto dell’ambiente. Non c’è nulla da aggiungere.
Infine due argomenti andrebbero più sviluppati e accentuati nell’impegno pubblico.
Da una parte il discorso di una giusta sussidiarietà e della valorizzazione delle autonomie: che significa, anche in Piemonte, attenzione alle aree periferiche, alla montagna, alla collina. Il Monferrato, per fare un esempio, è sempre più isolato per quanto riguarda i trasporti ferroviari, e dopo l’accentramento delle ASL, la prevista soppressione dei Tribunali minori e il rischi chiusura della sede staccata della Facoltà di Economia, vede ridursi una serie di servizi e un ruolo che aiutava a tenere insieme una comunità, la quale rischia di sfaldarsi e di offrire terreno al proselitismo dell’individualismo e della protesta (che sul piano elettorale non potrà sfuggire ai segnali già registrati in questi giorni).
Dall’altro la partecipazione. Partecipazione intesa come coinvolgimento diretto dei cittadini (la democrazia deliberativa dovrebbe tradursi in qualche istituto che le dia gambe), ma anche partecipazione dei territori, delle periferie della Regione per evitare accentramenti; razionalizzare, risparmiare, non moltiplicare uffici e strutture va bene, ma togliere voce e isolare non aiuta né la democrazia, né il consenso che la politica deve meritarsi dai cittadini. |