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Il problema siamo noi
 
di Antonio R. Labanca
 

Magari fosse solo un’operazione di destituzione della classe politica attuale a dare soluzione al “problema Italia”. Rottamare la vecchia dirigenza, togliere il finanziamento pubblico ai partiti, cambiare la legge elettorale: con la giusta capacità di distinguere fra ladri e bugiardi (ma anche demagoghi e giustizialisti) da un lato, e galantuomini e competenti (ma anche idealisti e onesti) dall’altro, può anche darsi che i passi invocati di questi tempi servano a pulire la politica per farla splendere come arte di far vivere la Repubblica.
Ma se anche mandassimo a casa l’intero corpo parlamentare (compresi i componenti dei Consigli regionali) e la serie di amministratori pubblici oggi nella stanza dei bottoni, avremmo risolto alla radice il problema?
Chi verrebbe subito dopo? Gli arrivisti mancati, i primi “non eletti” nelle varie liste? o i declamatori televisivi, cantanti o umoristi che siano? gli elzeviristi delle testate nazionali o i cronisti parlamentari che aspirano a sedersi sulle poltrone lasciate vuote?
Senza essere disfattisti, verrebbe proprio da considerare che il problema sono, siamo, noi Italiani. E senza neanche essere involontari giustificatori dello status quo, ci troviamo a pensare che non è detto che il “nuovo” sarebbe meglio del “vecchio”.
Se si pensa di andare incontro alla terza edizione della Repubblica parlamentare italiana, non basta che i cittadini (che diamo per scontato essere onesti e capaci) attendano l’esito delle lotte nei Palazzi e si augurino che un “capo” accreditato (oggi: i presidenti Napolitano o Monti, il redivivo Amato o l’emergente Cordero di Montezemolo) prendano le leve del comando. Sarebbe piuttosto il terzo Ventennio, dopo quelli di Mussolini e Berlusconi.
Occorrerebbe che la società civile (ma cerchiamo un’altra definizione meno approssimativa, possibilmente) prendesse davvero in mano la situazione. L’aumento ormai più che preoccupante dell’astensionismo al voto denuncia che non sappiamo far emergere i leader “naturali”, espressione del mondo delle imprese e del lavoro, della cultura e del volontariato, della buona amministrazione pubblica. Manca un pensiero comune che sfoci in un progetto comune per questo Stato: Alessandria, con il suo metro di scheda elettorale che riporta un numero esorbitante di liste, è emblema di noi Italiani senza poli di gravitazione credibili e condivisi.
Al di là delle architetture, pur indispensabili, che consegnino la possibilità di scegliere i nostri rappresentanti nella maniera più fedele possibile alla realtà “positiva” del Paese, dovrebbe emergere un movimento popolare che proponga e poi, soprattutto, supporti e accompagni le decisioni degli eletti. E perché questo movimento possa coagulare, occorre che le forze pre-politiche prendano il coraggio di identificare e le linee guida di quello che un passaggio di qualche tempo fa le Settimane Sociali indicava come “nuovo risorgimento” italiano. Ma forse la questione è che di forze pre-politiche libere da compromessi con l’attuale apparato politico non ce ne sono.


Andrea Griseri - 2012-05-15
Giorni fa discutevo di politica con un collega (succede ormai di rado): persona ottimamente istruita, in carriera, ruolo di responsabilità. In verità lui parlava della non-politica del suo disinteresse a essere coinvolto in un dibattito riguardante le decisioni pubbliche che impattano sulla vita di tutti. Io ho delegato, diceva, non sopporto chi si mette di traverso. Ma chi hai delegato di grazia? Con quali procedure hai delegato? E se il tuo presunto delegato sbaglia tu ne sopporti le conseguenze in silenzio? Il metro di liste la cui irrilevanza è proporzionale al numero (una democrazia nebulizzata potremmo dire) è lo specchio fedele di questa società liquida dove i cittadini hanno deciso di smettere di fare i cittadini.
Luchino Antonella - 2012-05-08
Buongiorno, mi permetto di citare una frase di Donat Cattin: ""C'è un profilo che sta sopra quello politico, ed è il profilo morale". Non aggiungo altro. Cordiali saluti.
Arturo de Meo - 2012-05-08
L'Italia e tutto il mondo politico può essere, anzi lo è, in crisi, ma la fede e l'amore per il prossimo no, quelli restano. Se il mondo politico si occupasse di mettere l'uomo al primo posto e affidarsi al discernimento di fare il suo bene e non il proprio personale, se la dignità dell'uomo fosse messa al primo posto e se si abitasse tutti nello stesso Paese come se abitassimo tutti in una stessa casa, non ci sarebbero state tutte queste cattive azioni politiche scorse. Forse sono un idealista, ma mi piace credere che la gente che sarà chiamata alle urne la prossima volta, sappia fare delle scelte in tal senso.