Sullo sfondo degli interventi esigiti per una riforma della legge elettorale si configura un’idea di democrazia che bisognerebbe affrontare con vera libertà. Libertà, più che dai preconcetti, da erronee semplificazioni. Come ad esempio che un Parlamento “sano” garantisca le migliori alleanze di governo o favorisca l’alternanza di principi ispiratori dell’azione del governo.
Non vorrei peccare di pessimismo nel dire invece che una componente “marcia” non potrà mai essere esclusa dal Parlamento in quanto forze più o meno occulte, eversive, delinquenziali fanno di tutto per avere una propria rappresentanza da collocare là dove si prendono decisioni che le toccano. Paradossalmente, è anzi un bene che queste forze percorrano questa strada istituzionale, di modo che la parte sana del Paese possa vedere almeno la punta dell’iceberg di queste forze. E perché, così facendo, in fondo esse attestano a modo loro l’importanza della politica e delle sue rappresentanze.
Più grave sarebbe infatti se si snobbasse il Parlamento sapendo che le decisioni “vere” si prendono altrove. Qualche volta a noi cittadini viene da pensarlo: Palazzo Madama e Montecitorio sono come le piazze (o i cortili?) in cui lasciar sfogare la retorica degli ideali e delle ideologie, la competizione fra i leader e fra i gruppi di opinione, mentre in altri palazzi (o ville?) si decidono le sorti dell’economia e dei poteri. L’irruzione del governo Monti, da questo punto di vista, ne sarebbe dimostrazione lampante. Ma qui preferisco non approfondire questo sospetto.
Piuttosto, un’azione politica intelligente di chi almeno presume di essere dalla parte sana dovrebbe preoccuparsi di quali strumenti adottare per tamponare le pressioni di quegli affaristi e sfascisti che comunque approdano in Parlamento, in maniera da tenerli il più possibile distanti dalle leve decisionali, magari ribaltando il gioco dell’inutilità della presenza. Insomma: che emerga e si dia nome al “gruppo misto dei guastatori” per consentire a tutte le altre forze politiche di confrontarsi realmente e lealmente sui progetti di governo, piuttosto che immaginare la purezza di selezione di ogni parlamentare.
E a proposito poi delle alleanze – da stipulare prima, dopo, durante la campagna elettorale – non serve ragionare sulle possibilità che davvero due opposti schieramenti possano competere per designare a priori un premier su cui convergere e dal quale si dirami poi una squadra di ministri. L’esperienza dovrebbe aver insegnato che il punto di equilibrio è sempre al centro, nonostante i tentativi di plasmare la realtà con composizioni forzate di alleanze divaricanti. Ad esempio è ingannevole il tentativo di affermare la prevalenza di destra o di sinistra con l’attuale legge, quando la tattica di chi stila le liste è di sbilanciarle – attraverso i candidati – verso la parte “opposta” al fine di guadagnare il voto di chi è “in mezzo”. O è impensabile che l’azione di governo sia costruita “contro” la parte minoritaria (a quanto risulta dal voto) del Paese perché questa azione dovrebbe essere piuttosto conciliante i diversi interessi, trovando punti di convergenza e consenso più esteso. Abbiamo sperimentato i 17 anni di una Repubblica da gioco a braccio di ferro, dove chi vince piglia tutto e cerca di pregiudicare in tutti i modi le possibilità di successo alla tornata successiva di quello che considera il nemico.
Si perda meno tempo a discutere di meccanismi astratti o, peggio, funzionali a una visione neutralizzante del Parlamento. Si cerchi invece, da parte di chi si considera “innovatore”, “progressista”, “riformatore”, di trovare i modi per garantire la piena rappresentanza dell’Italia di oggi, offrendo liste capaci di accogliere la società civile nelle sue molteplici espressioni, con l’obiettivo di portare in Parlamento (ma anche nelle altre sedi dei vari ambiti istituzionali) donne e uomini in grado di collocarsi nel punto di convergenza e ricevere così il mandato a governare a beneficio di tutti.
Questo punto di convergenza poi potrà essere tanto più “a sinistra” quanto più massiccia e convinta sarà la partecipazione popolare. |