I quotidiani hanno dato un certo risalto alle critiche di Mario Segni e di Romano Prodi all’ipotesi di riforma elettorale concordata tra i partiti che sostengono il governo Monti, ipotesi che viene polemicamente definita “Violantum”.
In realtà Mario Segni, il promotore del referendum del ’93 che decretando la fine del sistema elettorale proporzionale avrebbe dovuto liberare il Parlamento dall’influenza dei partiti, dovrebbe riconoscere che le cose sono andate diversamente da come aveva previsto. La personalizzazione della politica e il sistema uninominale-maggioritario, hanno infatti aperto la strada a una “partitocrazia senza partiti” e a un “bipolarismo di coalizione” che hanno esaltato il trasformismo e la radicalizzazione della lotta politica, la deriva plebiscitaria e l’astensionismo.
Delle critiche di Prodi, condivido quella sulla indicazione del nome dei candidati alla guida del governo, anche se probabilmente per ragioni diverse da quelle di Prodi. È comunque vero che senza l’elezione diretta del premier, questa norma è un inganno… , anche con l’Ulivo e con l’Unione.
Per il resto, vorrei riflettere ancora una volta sulle contraddizioni della “seconda Repubblica” di cui anche Prodi è stato responsabile. Queste contraddizioni sono la madre di una frammentazione parlamentare assai più elevata di quella imputabile al proporzionale; di coalizioni eterogenee, necessarie per vincere le elezioni ma incapaci di governare il Paese; del fatto che la Lega e Rifondazione comunista (ed in parte anche l’IDV) hanno condizionato i governi di destra e di sinistra assai più dell’ago della bilancia centrista; di una “stabilità di governo” costruita sulla “dittatura della maggioranza”, che ha demolito il ruolo dei partiti e la centralità del Parlamento.
D’altra parte, perché Alfano oggi è favorevole alla riforma elettorale, mentre Di Pietro e Vendola condividono le critiche di Prodi al “Violantum”? Perché il PDL sa che senza la Lega il bipolarismo di coalizione non funziona; e perché Di Pietro e Vendola sanno che senza uno scontro all’ultimo voto tra opposte coalizioni, non possono condizionare (elettoralmente e politicamente) il Partito Democratico… “a vocazione maggioritaria”.
Dopo tre anni di dibattito attorno alla questione della riforma elettorale, per restituire agli elettori la scelta dei propri rappresentanti, siamo tornati al punto di partenza, come accade nel gioco dell’oca. Con il rischio che sopravviva il “Porcellum”. Nell’autunno del 2010 alcuni costituzionalisti, guidati da Valerio Onida e Giovanni Sartori, hanno sottoscritto un appello “per una legge elettorale coerente con l’impianto costituzionale e con i principi che regolano la legislazione elettorale europea”, al fine di mettere sul binario giusto il dibattito sulla riforma del “Porcellum” Quell’appello proponeva di correggere il proporzionale con l’introduzione di collegi uninominali, con il voto di sfiducia costruttiva e con una soglia di sbarramento sul modello tedesco; oppure di varare un sistema uninominale maggioritario a doppio turno sul modello francese, rafforzando però il ruolo del Parlamento (come vorrebbero fare i Francesi). Sia la destra che la sinistra hanno lasciato cadere nel vuoto quelle proposte. E Berlusconi, parlando “a braccio” al forum di Yarostav “sulla democrazia”, esaltava la concentrazione del potere nelle mani di Putin: “un dono di Dio” per la Russia. Sosteneva cioè la soluzione presidenziale.
Onida e Sartori si erano ispirati alla proposta di Roberto Ruffilli: fare del cittadino l’arbitro nella contesa tra i partiti, e resistere all’onda oligarchica e alla deriva plebiscitaria. Ruffilli era convinto che la strategia referendaria avrebbe favorito il populismo e travolto la democrazia parlamentare. Con quell’appello Onida e Sartori sostenevano una tesi opposta a quella di chi proponeva il rilancio dell’uninominale-maggioritario, poiché erano convinti che una legge proporzionale “corretta” (secondo il modello tedesco) potesse garantire la democrazia dell’alternanza meglio del sistema maggioritario.
In quella congiuntura cercai di spiegare su “Europa” (settembre 2010) perché condividevo le riflessioni di Valerio Onida, ma anche perché ritenevo sbagliato affermare che sottoporre ai cittadini le proposte di governo “prima del voto”, rappresenti “una superiore qualità della democrazia”. Con questa formula, infatti, si accettava l’idea di sovranità cui hanno fatto riferimento Berlusconi e Bossi quando hanno legittimato la “dittatura della maggioranza”, cioè un’idea del potere che stravolge la democrazia parlamentare incardinata sulla Costituzione.
D’altra parte, è bene ricordarlo, la grande maggioranza degli italiani ha difeso la centralità del Parlamento con il referendum costituzionale del 2006; e in seguito i sondaggi hanno registrato che almeno il 40 per cento degli elettori aveva nostalgia del proporzionale e delle preferenze, smentendo la tesi di chi sosteneva che ormai gli elettori erano pronti a una svolta presidenzialista. Ma concludevo allora, e forse dovrei concludere oggi, che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. |