Giuseppe Ladetto - 2012-04-20 E’ vero che non esiste democrazia senza partiti, ma purtroppo cresce l’onda di sfiducia e di risentimento degli italiani verso di essi. Pertanto è urgente e, come Lei scrive, necessaria l’autoriforma dei partiti. Ma in quale direzione deve andare tale riforma? Lei denuncia il danno prodotto dai partiti “personali” che caratterizzano oggi la maggior parte delle forze politiche italiane. In realtà uno slittamento verso forme più o meno marcate di leaderismo contraddistingue l’intero panorama politico dei paesi occidentali. Angelo Panebianco, sul Corriere della sera del 16 aprile 2012, scrive che l’antipolitica può essere contenuta solo se i partiti accettano di diventare altro da ciò che sono oggi: è necessario che i partiti, come avviene nelle democrazie meglio funzionanti, accettino di essere organizzazioni specializzate nella raccolta del consenso elettorale e nella fornitura di personale per cariche di governo, senza avere più la pretesa di dominare le istituzioni. In contemporanea, ciò richiede il rafforzamento dell’autonomia e dei poteri decisionali attribuiti alle istituzioni di governo. Ed aggiunge che compito dei partiti non è di essere, gramscianamente, i «principi», ma di essere più modestamente gli “sherpa”, le strutture di supporto di coloro che si sfidano sul piano elettorale allo scopo di diventare, essi sì, i principi, per quanto con mandato a termine. Se si vuole sconfiggere l’antipolitica, occorre che i partiti si rassegnino ad un ruolo assai più modesto che in passato. In pratica, secondo Panebianco, i partiti dovrebbero diventare semplici comitati elettorali come negli Stati Uniti. Ora credo sia legittimo non essere d’accordo con l’autorevole editorialista ancorché larga parte dei media auspichi, con lui, una drastica riduzione del ruolo dei partiti.
La tipologia dei partiti è strettamente connessa o determinata dai sistemi elettorali. I sistemi maggioritari (a semplice o a doppio turno, o con premi di maggioranza) sono funzionali ai partiti leggeri, a schieramenti bipolari (tendenzialmente bipartitici) ove la figura del candidato diventa l’unico connotato per raccogliere voti. Inoltre, una forza politica seria deve sapere guardare lontano e proporre programmi che talora non sono ancora pienamente compresi dalla maggioranza degli elettori. Pertanto, “vincere le elezioni” per “andare al governo” non può essere il suo solo scopo, perché così facendo si limita a registrare quanto nell’immediato esige una potenziale maggioranza di elettori anche se essa esprime richieste contraddittorie e sovente irrealizzabili. Ed altrettanto accade con le tanto decantate primarie, utili più che altro per fare una sorta di marketing elettorale. Può essere talora assai più importante svolgere un ruolo di proposta e di convincimento, o di difesa di categorie deboli o di esigenze e di interessi trascurati. Oggi per dare una risposte alle molteplici crisi (economica, sociale, occupazionale, ambientale, per esaurimento delle risorse, per squilibri tra nord e sud del mondo, per processi migratori fuori controllo), tutte interconnesse, è indispensabile una sorta di rivoluzione culturale di cui solo dei partiti pesanti possono essere protagonisti. Quindi il rinnovamento deve salvaguardare i partiti pesanti (gramscianamente i partiti “principi”) perché gli unici in grado di ridefinire le priorità e la scala dei valori oggi imperanti (incentrati sul denaro e su un individualismo estremo).
Se abbiamo bisogno di partiti reali capaci di realizzare progetti di lungo periodo per affrontare le molte e non passeggere crisi che ci investono, dobbiamo optare per i sistemi elettorali sostanzialmente a base proporzionale. Allora la denuncia dei partiti padronali o semplicemente del crescente leaderismo non basta se non si prende in considerazione lo stretto legame esistente fra sistemi elettorali e tipologia dei partiti.
Nel partito democratico, purtroppo, sono presenti consistenti se non prevalenti posizioni (da Veltroni a Prodi e Parisi) a favore del sistema elettorale maggioritario. Nel partito democratico (e non solo in esso) molti guardano agli Stati Uniti per trarre ispirazione in materia, dimenticando che in tale paese (proprio per il sistema elettorale maggioritario e per le primarie) l’attenzione è tutta rivolta ai potenziali leader, il cui successo è in larga misura determinato dalle lobby che li finanziano, mentre la partecipazione elettorale dei cittadini è assai bassa.
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giuseppe cicoria - 2012-04-17 Mi posso anche sbagliare ma a me sembra che nelle mie severe critiche, che possono essere anche non gradite, ci siano sostanziosi spunti di riflessione di come ci si dovrebbe comportare da parte dei partiti politici. Esse sono rivolte a concetti espressi e con nessun intento di "semiinsultare" chicchessia.. Se questi pensieri, dettati da vera passione politica ed orientati verso il bene comune, recano tanto disturbo all'onorevole, democraticamente mi asterrò per il futuro di leggere i suoi scritti così eviterò di formulare qualsiasi osservazione o contestazione! Cordiali saluti. | ||
giorgio merlo - 2012-04-15 il sig. Cicoria normalmente legge i mei articoli con la lente del pregiudizio personale che lo porta, qualunque sia l'argomento, a valutazionmi di violenta contestazione, di regolare demolizione e di semi insulto. Cosa in sè legittima, ma alquanto curiosa nonchè singolare. Al sig. Cicoria chiederei, tuttavia, una cosa modestissima: accanto alla parte distruttiva - fatta, come sempre, e puntualmente, da contestazioni violente, demolizioni e semi insulti - se è possibile anche avanzare anche qualche proposta. Il che non guasta mai. Con stima. Giorgio Merlo | ||
giuseppe cicoria - 2012-04-15 Il Tuo articolo è pieno di lodevole critica sulla gestione dei partiti ma non posso assolutamente concordare con Te quando non resisti nella Tua necessità autoassolutiva! Quando si prendono i soldi dai cittadini non si può pretendere di gestire il partito senza che nessun ci metta il naso! Le regole democratiche e di diritto esistono e non bisogna creare nessun ostacolo per aggirarle. Nell'attuale società esistono due gravi lacune o "piaghe": chi comanda (politici, amministratori delegati, ecc.) decide la sua remunerazione e si assegna il diritto di controllo! Le Società di revisione sono sempre state delle "foglie di fico" per nascondere le malefatte: i revisori sono sempre pagati o nominati dai committenti. Quindi, non deludono MAI chi li appalta. Il rispetto per i politici e per i partiti potrà essere parzialmente recuperato quando il Parlamento rinuncerà al suo "diritto democratico" di autofissarsi i suoi emolumenti. Si deve assolutamente smettere di pretendere soldi "a gogò", altrimenti si RUBA. Chi ruba deve andare in GALERA anche se onorevole. Chi ruba, d'altronde, perde eticamente il diritto di chiamarsi onorevole! | ||
franco maletti - 2012-04-11 Comincerò a credere che il Partito Democratico sia diverso e più avanti degli altri nel processo di autoregolamentazione quando lo vedrò intervenire nei confronti di quelle democrazie mafiose che si sono instaurate a livello di Circolo e che soffocano sul nascere ogni dibattito e ogni critica costruttiva. Il falso consenso che viene costruito intorno ad una persona, fino ad imporla alla cittadinanza a prescindere dalle sue doti morali, fanno in molti casi un danno al PD stesso e alla immagine che vuole dare di sè. La subdemocrazia esistente nei partiti è quella che oggi arreca il maggior danno alla politica nel suo insieme. Tacciare di populismo chi denuncia queste cose significa respingere qualunque volontà di cambiamento. |