Sulla RAI è giunto il momento di mettere le carte in tavola. Da un lato il curioso balletto sulla partecipazione, o meno, di Berlusconi a “Porta a Porta” e dall’altro la cancellazione di un incontro con Monti dei segretari che appoggiano il Governo, denotano che intorno al tema RAI continua a circolare troppa superficialità. Ora, per evitare la consueta ipocrisia – e cioè tutti predicano il passo indietro dei partiti dalla gestione concreta e quotidiana di Viale Mazzini e quasi tutti, con altrettanta ipocrisia, pretendono e rivendicano spazi, ruoli e presenze nel servizio pubblico – è indispensabile fissare alcuni paletti fermi. Tanto per essere chiari e senza giocare più parti in commedia.
Innanzitutto la RAI non va commissariata e non va privatizzata. Una tentazione, questa, presente in quasi tutti i partiti e che punta, neanche tanto nascostamente, a liquidare definitivamente il servizio pubblico per poi appaltarlo a qualche cordata “amica”. Un disegno vecchio ma che potrebbe trovare qualche chance in più proprio oggi con un governo tecnico poco sensibile alle ragioni del pluralismo sociale, politico e culturale che dovrebbe caratterizzare un servizio pubblico moderno, e molto più propenso a far valere motivazioni di carattere puramente contabile. Su questo tema è giunto il momento che tutti si debbano pronunciare, PD compreso. Perché non è sufficiente, né credibile, contrabbandare la privatizzazione della RAI come un disegno di grande modernizzazione del panorama informativo del Paese. Molto più semplicemente, si tratta dell’ennesimo tentativo di indebolire il profilo della nostra democrazia a vantaggio e a beneficio dei soliti “amici” di cordata.
In secondo luogo chi vuole una RAI forte, di qualità e messa anche in grado di poter governare un’azienda così complessa e articolata, lavora per una rapida riforma della sua governance. È inutile continuare a predicare, come fa il PDL, che l’attuale legge Gasparri già contiene al suo interno gli elementi per rinnovare l’azienda e per preservarla da un’eventuale ingovernabilità che può paralizzarla. No, le attuali regole non permettono al vertice di guidare con efficacia, velocità e la necessaria credibilità un’azienda come la RAI. Le proposte di modifica non mancano. È sufficiente, a costo zero, la semplice volontà politica del Parlamento per mettere mano ad una riforma indispensabile. Chi la ostacola lavora contro la RAI e il suo rinnovamento.
Infine, va detto con chiarezza che senza un qualificato e rinnovato servizio pubblico, e al di là di come è gestita oggi l’azienda, a pagarne le conseguenze sarebbero solo e sempre i cittadini, cioè coloro che fruiscono di un’informazione pluralista, di una programmazione di qualità e di un approfondimento capace di far maturare una forte conoscenza di ciò che ci circonda e un vero spirito critico della pubblica opinione. Abbandonare questo enorme patrimonio o rinunciare a questa specificità che ha accompagnato la democrazia italiana sin dal secondo dopoguerra, equivarrebbe ad indebolire un aspetto costitutivo della stessa società italiana. Forse è bene pensarci con la dovuta attenzione prima di procedere con un semplice e banale approccio ragionieristico.
Insomma, attorno alla RAI, alla sua riforma, alla sua prospettiva, al suo profilo si gioca, per l’ennesima volta, una vera partita democratica e di contenuti. Sarebbe curioso, anche da parte di questo Governo, se il tutto – sempre in nome della modernizzazione e della efficienza – venisse appaltato nella mani dei soliti tecnocrati o boiardi di Stato che hanno già segnato e condizionato varie fasi della politica italiana. Non è il caso di ricorrere a questi “parrucconi” per rilanciare l’immagine e il profilo del servizio pubblico. Forse è sufficiente essere consapevoli che la presenza di un servizio pubblico radiotelevisivo qualificato e pluralista è una garanzia per la stessa conservazione della democrazia nel nostro Paese.
Ecco perché è indispensabile che ogni forza politica, responsabile e di governo e che non si limiti al “tanto peggio tanto meglio”, adesso metta sul tavolo le proprie carte. Senza ipocrisia e senza doppiezza. |