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TAV: aprire il cantiere del dialogo
 
di Antonio Labanca
 

Visti gli eventi brucianti di questi giorni, che segnano l’apice mass-mediatico della tormentata questione della ferrovia ad alta velocità/capacità che per scelta europea attraverserà la Valle di Susa (e ci si augura che sia l’apice, nel senso che d’ora in poi i toni tornino sui registri del dialogo), vorrei manifestare un punto di vista interrogativo.
Me ne dà spunto l’ultima dichiarazione che ho letto di uno degli esponenti del PD torinese, il senatore Mauro Marino. L’incipit segna decisamente il piano su cui oggi il ragionamento politico viene compiuto: “Gli scontri, le provocazioni alle forze dell’ordine, le intimidazioni ai magistrati e le aggressioni ai giornalisti…”.
La mia domanda è se sia questo il modo giusto di porre le premesse a una nuova fase di confronto, quella che i sindaci della Valle hanno richiesta al Governo. La classe politica, quando è tutta compatta, diventa pericolosa: l’unisono in certi casi sa di retorica e di antidemocrazia perché esclude a priori la possibilità di parere diverso. È come se la sciocchezza del militante che sfotte il carabiniere fosse stata in qualche modo attesa per consentire un’unanime riprovazione non tanto del gesto in sé quanto dell’opposizione che i valsusini continuano a dichiarare a opera ormai avviata. Anche gli accostamenti con Valle Giulia e Pier Paolo Pasolini mi sembrano affrettati, se non strumentali.
La frase conclusiva della stessa dichiarazione (non polemizzo contro il senatore, che anzi è da apprezzare per essersi assunto l’onere di “dire qualcosa” nel sostanziale silenzio, che l’opinione pubblica avverte, dei parlamentari piemontesi) va a sfociare in un pensiero che di fatto sottintende una qualche irragionevolezza dei montanari che non vogliono accogliere un’“opera di cui l’intero Paese ha bisogno”.
È questo dare per scontato ciò di cui ha bisogno il Paese che mi rende perplesso pensando ai suoi effetti sulla democrazia. Ho mie opinioni sull’opera, ma non è questo il punto. La questione che lo scontro Tav-noTav sta facendo emergere è che ci sono decisioni che vengono prese da un apparato tecnico-amministrativo non sottoposto a vincoli democratici, da decisori che stanno lontani dal luogo in cui la decisione manifesta i suoi effetti, da strateghi industriali che perseguono la propria mission – legittimamente, beninteso – forzando la mano alle istituzioni a cui è affidata la decisione. Il tutto paradossalmente avallato da organismi elettivi i cui membri poco entrano nel merito ma si confanno alle decisioni di segreterie ristrette.
Quel che vorrebbe un cittadino qualsiasi come me è che i politici si esprimessero da politici, da persone cioè che non hanno altro mandato che quello di mettere intorno al tavolo gli interessi delle parti e di trovare fra questi un compromesso che non lasci sul campo vincitori e vinti. Che siano magari capaci di trovare una sintesi ancora inimmaginata, che veda sanamente partecipi tutti i soggetti. Che costituisca il bene comune, cioè.
Invece qui si sta andando a costruire (consapevolmente?) un’enclave dove o coverà per decenni il risentimento delle popolazioni o si produrrà un espianto di identità.
Se quel cittadino fosse poi un militante, vorrebbe non trovarsi di fronte a un out out, di sapore ideologico come ai tempi di Stalin: chi è contro quest’opera è fuori dal partito. Se dialogo ha da esserci, deve esserci anzitutto nei luoghi dove si forma l’indirizzo politico. Altrimenti che “partito coinvolgente” può essere? Se la gente non percepisce la correttezza del “metodo” della decisione, non può che diventare antagonista.
Fra le persone allontanatesi dalla cabina elettorale e stanche di certo decisionismo a senso unico, e coloro che avendone il potere non si adoperano per garantire i luoghi del libero confronto, mi viene da chiedere chi pratichi davvero l’antipolitica.


Arnaldo Reviglio - 2012-03-19
Oltre alla condivisione totale di quanto scritto da Antonio Labanca desidero solo far presente che il dialogo evocato non c'è mai stato prima del 2005, e dopo la costituzione dell'Osservatorio, il medesimo si è interrotto nel 2008, in quanto le tesi degli Enti locali non venivano prese in considerazione.In pratica uno specchietto per le allodole. Inoltre ricordo che l'accordo di Pra Catinat non ha mai avuto la sottoscrizione degli Enti locali della Valsusa. A gran voce dico queste cose e con grande dolore, perchè vedo che fra il PD e la gente comune si apre un enorme solco, difficilmente ricomponibile. Questa strada non è quella dei Popolari, il don Sturzo delle municipalità penso si rivolti nella tomba.
Aldo Cantoni - 2012-03-07
Caro Antonio, quello che hai scritto sarebbe pienamente condivisibile se fosse datato marzo 1992 e non marzo 2012! Ma in questi 20 anni i NO TAV non hanno mai votato? E se fossero maggioranza, come vorrebbero far credere, perchè sono giunti a dover segnare una presenza quasi esclusivamente extra-istituzionale? La sussidiarietà intesa come il diritto di qualunque livello (istituzionale o meno) di bloccare il livello superiore mi è veramente nuova.
fabrizio zandonatti - 2012-03-06
Sottoscrivo pienamente. L'assenza della Politica, il ritenere che tutto si giustifichi con dati tecnici (basti pensare alla nascita, a livello locale, di saperi colti alternativi), il mancato rispetto delle procedure normalmente utilizzate per gli espropri, l'affidamento dei lavori a società che non potevano esibire il DURC (la Italcoge) e citate da articoli di giornale come contigue alla n'drangheta, la percepità impunità della polizia e dei carabinieri quando, come documentato, hanno ecceduto e altro ancora costituiscono un mix micidiale che muove centinaia di persone comuni.
giuseppe cicoria - 2012-03-05
Il decisionismo di una sola persona mi spaventa. Il decisionismo, finora inesistente, da parte della classe politica ha portato al disconoscimento dei partiti da parte del 96% dei cittadini. Adesso c'è Monti al governo che può fare il decisionista per costruire qualcosa in questo Paese ma non è un dittatore perchè deve dar conto al Parlamento dove, per necessità vitali, c'è una maggioranza trasversale che lo sostiene. Mi sembra una situazione ideale basata sulla paura ma che forse potrà conseguire qualche buon risultato per l'Italia: aumento del senso civico contro l'evasione fiscale, risanamento dei conti pubblici, rilancio dell'economia, riduzione della disoccupazione, ecc. Per conseguire l'ultimo obiettivo lo Stato deve intervenire direttamente finanziando opere pubbliche di qualsiasi genere perchè "quand le bateman va tout va" (scusate il cattivo francese). Gli industriali, d'altronde, non hanno voglia di investire in Italia e non riporteranno mai più i loro soldi depositati all'estero in fondi speculativi che rendono di più! Credo, poi, che il Governo debba darsi una calmata nello spezzettamento delle poche holding ancora esistenti in Italia. E' noto che il pesce grande mangia quello piccolo e noi ormai abbiamo perso troppo nelle cosiddette liberalizzazioni a favore di Stati più potenti di noi! Conclusione: il tempo dei "concertini" o delle "concertazioni" deve considerarsi FINITO. La tattica dilatoria e defadigatoria deve essere troncata. I governi devono cominciare a fare e, poi, devono essere giudicatati da tutti i cittadini e non soltanto da coloro che hanno un diretto interesse.