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Il PD guidi la svolta proporzionale
 
di Giuseppe Davicino
 

Anche chi è più affezionato al modello populista e plebiscitario della “seconda Repubblica” è costretto a riconoscere che la nascita del governo Monti (al di là del merito dei provvedimenti sin qui adottati, alcuni dei quali quantomeno discutibili) ha sancito la fine di una fase politica durata diciotto anni e della quale si ricorderà soprattutto nel male e nel bene la leadership di Berlusconi.
Nel Paese sta crescendo la consapevolezza dei limiti del maggioritario. La dialettica politica, ingessata per anni, a tutti i livelli istituzionali, da un sistema elettorale che ha spaccato artificialmente in due l'articolato sistema politico italiano, si sta riprendendo i propri spazi di libertà, sospinta dall'incalzare di una crisi economica e sociale di portata storica.
Il governo della crisi esige un’assunzione di responsabilità ampia e trasversale, e non un clima di contrapposizione forzato e permanente tra coalizioni disomogenee. Proprio in questo ha consistito la novità della formula politica del governo Monti: archiviato il maggioritario, si è imposta la convergenza al centro dei maggiori partiti per un governo di solidarietà nazionale nell'ora più grave della storia della Repubblica. E si sono così create le premesse per una autentica democrazia dell'alternanza, nella quale potranno confrontarsi coalizione omogenee e tra loro realmente alternative. Ciò si potrà concretizzare attraverso una coerente modifica della legge elettorale che richiuda negli armadi della storia nel contempo l'uninominale maggioritario, e il trasformismo di cui è portatore, e il famigerato “premio di maggioranza”, corpo estraneo alla cultura democratica occidentale. E la bocciatura da parte della Corte Costituzionale dei referendum che avrebbero resuscitato il “mattarellum”, ha spianato la strada ad una riforma della legge elettorale per via parlamentare.
Sono i fatti a rendere attuale e opportuno il progetto di un nuovo sistema elettorale di tipo proporzionale, con eventuali correttivi mutuabili dai modelli spagnolo e tedesco, secondo quello schema da sempre sostenuto da costituzionalisti di scuola dell'Università Cattolica come il professor Vincenzo Satta, e auspicato dai Popolari del Piemonte. Verso questo schema oggi si registrano importanti e significative nuove convergenze, come quella di Luciano Violante, pur indicando una proposta per certi aspetti originale, e quella di Stefano Ceccanti. Nel PD appare ormai accantonata l'ipotesi del doppio turno e il grosso del partito – se si eccettuano i bindiani in singolare sintonia su questo con i berlusconiani di più stretta osservanza – sembra esser disponibile alla svolta proporzionale. Non si può che esser d'accordo con Ceccanti quando sostiene che bisogna liberare le forze maggiori dal pericolo di essere ingabbiate in coalizioni coatte. Prima ci si presenta agli elettori, anche con una proposta di coalizione. Ma solo dopo il voto si fanno le coalizioni. Se una delle coalizioni proposte all'elettorato ottiene la maggioranza assoluta governa, altrimenti anche nella formazione delle maggioranze si deve tener conto delle indicazioni espresse dall'elettorato. È successo così persino nel Regno Unito, culla dell'uninominale maggioritario. In questo modo si ridà senso, almeno in occasione delle elezioni parlamentari, alla parola “rappresentanza”, più ancora che con il giusto ripristino o delle preferenze o dei collegi uninominali su base proporzionale di circoscrizione.
Dal modo in cui verrà gestita, nei prossimi mesi, la questione della riforma della legge elettorale si capiranno molte cose anche riguardo all'identità e alla strategia del Partito Democratico. Se alla fine prevarranno i veti, la sudditanza culturale al modello berlusconiano di democrazia, il PD rischierà di ritrovarsi impantanato in alleanze fragili e rissose. Se, al contrario, il partito assumerà con convinzione la guida del processo di riforma della legge elettorale in senso proporzionale, si apriranno degli spazi di iniziativa politica sinora impensabili per il PD.
Ma soprattutto si recherà un grande servizio alla democrazia italiana. La fine del maggioritario contribuirà a ridare rappresentanza e adeguato peso politico ai ceti intermedi, in caduta libera sotto i colpi di trasformazioni economiche governate quasi esclusivamente nell'interesse dei grandi soggetti della speculazione finanziaria internazionale, che oggi marcia verso la propria bancarotta. E contribuirà a fermare la tendenza a un vertiginoso aumento delle disuguaglianze sociali che è fra le cause strutturali dell'attuale fase recessiva.


Maurizio Steffenino - 2012-02-17
Secondo il mio modesto parere ragionamenti del tipo: Prima ci si presenta agli elettori, anche con una proposta di coalizione. Ma solo dopo il voto si fanno le coalizioni. Se una delle coalizioni proposte all'elettorato ottiene la maggioranza assoluta governa, altrimenti anche nella formazione delle maggioranze si deve tener conto delle indicazioni espresse dall'elettorato. non solo non sarebbero comprese dal "popolo sovrano" ma sono "moralmente" inaccettabili. Se io, il bello od il furbo di turno, mi candido a governare un Paese spiego cosa voglio fare e sottoscrivo un accordo con i miei alleati e con tutti quelli, del "popolo sovrano", che vogliono darmi fiducia. Purtroppo è da qui in avanti la vera questione da affrontare. Io, (sempre il bello e furbo di prima) per fare i miei interessi e curare i miei orticelli, comincio a litigare con gli altri che a loro volta si comportano come me. L'accordo sottoscritto, il bene comune, l'impegno del compito, il rispetto delle regole e la voglia di servire il Paese diventano impedimenti all'esercizio del potere ricevuto. Prima ci sono io, io ho vinto poi c'è tutto il resto. Possiamo fare la migliore legge elettorale del mondo ma il problema sono gli uomini che da essa risultano eletti. Il problema è presente nella nostra realtà sociale dove il "popolo sovrano" si fa abbindolare, vota le persone sbagliate, si comporta esattamente come chi lo governa... Non nascondiamoci, è la nostra società che dagli anni Ottanta piano piano è "cresciuta" sul clientelismo, sul ricatto, sul "vuoto". Allora un partito "serio" cominci a chiedere ai propri eletti di smetterla di fare politica in questo modo, si mettano al servizio del "popolo sovrano", lavorino con maggiore impegno e nel rispetto del bene comune, siano sobri e rispettosi della legge, fisco compreso. Un partito serio proponga una riforma elettorale dove chi ha pendenze o è inquisito stia fuori dalla competizione, garantisca la scelta del candidato "valido" da parte del cittadino, spenda il suo mandato alla realizzazione del programma senza se e senza ma. Se ciò avvenisse forse quei sempre meno cittadini onesti, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, ritorneranno maggioranza in questo Paese e potranno essere non più additati come dei "tonti" ma come delle persone da seguire come modello. Il problema del nostro Paese è proprio questo: mancano i modelli, i riferimenti. E allora, se negli ultimi venti anni personaggi come Berlusconi e Bossi sono riusciti a vincere le elezioni è perché il "popolo sovrano" li ha votati (i numeri sono numeri) e ha permesso loro di fare quello che volevano: era quello che al "popolo sovrano" in fondo serviva per fare i propri affari. Ora che il "popolo sovrano" ha tolto gli "occhiali da sole" è confuso, forse. Ma proprio ora che si è liberato di questo "lungo intontimento" ha bisogno di modelli nuovi nel modo di essere e vivere la politica. Il "popolo sovrano", mi auguro con forte presa, ha bisogno nuovamente di credere nella politica, nelle istituzioni, nel Paese. Ora però come si fa a convincere dottori, artigiani, imprenditori, commercianti, professionisti a non usare più i contanti, offrire lavoro in nero e a fare qualche fattura ogni tanto? Come si fa a dire a un impiegato, operaio e pensionato di non fare un doppio lavoro o di pagare le parcelle e i lavori con il costo dell'IVA e reclamare lo scontrino? Pertanto la riforma elettorale va fatta dalle donne e dagli uomini seri e leali, dai partiti che sono al servizio del bene comune. Se ciò non avviene, è triste dirlo, arriverà di nuovo uno più bello e più furbo degli altri.
Aldo Cantoni - 2012-02-16
Le ragionevoli tesi di Davicino sono nell'aria sin dal lontano 31 luglio 1999, giorno in cui il compianto Partito Popolare presentò un progetto di riforma elettorale/istituzionale. Penso che fino a quando la preoccupazione dominante tra coloro che, per ruolo, sono chiamati a decidere in materia sarà come avere una legge elettorale che ne conservi il "posto", di riforme davvero democratiche ne vedremo poche. Purtroppo tale preoccupazione è umana, ma bisognerebbe in qualche modo superarla.
Carlo Baviera - 2012-02-15
Concordo con Davicino; ma nonostante ciò devo esplicitare qualche dubbio su ipotesi elettorali, premettendo che anch'io preferisco il proporzionale. 1- Se solo dopo il voto si fanno le coalizioni, si rischia di tornare ai doppi forni o ai ricatti. E' giusto chiedere il voto su alleanza decise prima. 2- E' bene evitare maggioranze rissose e coatte, ma se l'alternativa è allearsi con alcuni moderati o crearne con chi continua a proporre misure come i "provvedimenti sin qui adottati, alcuni dei quali quantomeno discutibili", mi sembra che si escludano alleanze di solidarietà e di contrasto alle logiche capitalistiche. Perciò il Polo da costruire è fra riformatori, e sostenitori del protagonismo della società civile, del terzo settore, delle autonomie, e per la difesa della pace, dell'ambiente, della famiglia, del lavoro, del welfare. 3- Continuo a non capire come si possa dire che con collegi uninominali o con liste corte bloccate (questa la proposta Violante) siano gli elettori a scegliere. 4- Anche con una nuova legge elettorale penso si debba guardare oltre l'Italia e pensare a un partito, non socialdemocratico o inserito nella socialdemocrazia europea, ma di orientamento solidarista, riformatore, come doveva essere il Partito Democratico Europeo.