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RAI: ma la politica è assente?
 
di Giorgio Merlo
 

La RAI è di nuovo al centro della bufera. O per le nomine, o per gli assetti interni, o per le trasmissioni, o per i vari cachet milionari il servizio pubblico radiotelevisivo è condannato ad essere perennemente al centro delle polemiche. Ma, al di là della contingenza e delle varie quotidianità, l’unico elemento attorno al quale è ormai necessario avviare una seria riflessione è se la RAI, cioè il servizio pubblico, va salvaguardato – e ovviamente migliorato – o se va commissariato per poi essere privatizzato. La discussione, infatti, ruota attorno a questo nodo se vogliamo andare oltre la consueta ipocrisia.
Allora è bene dire con franchezza che c’è uno schieramento politico trasversale – che coglie al balzo l’ennesima difficoltà gestionale – che ormai neanche tanto nascostamente punta con determinazione a cancellare definitivamente la RAI attraverso un progetto di finta modernizzazione e adeguamento al mercato. In sintesi, prima commissariamo la RAI, poi la privatizziamo e infine la svendiamo a qualche gruppo finanziario, economico/imprenditoriale “amico” che si ponga come uno dei punti di riferimento nel mercato dell’informazione e dell’intrattenimento giornalistico. Un disegno politico del tutto legittimo che però è onesto spiegare nelle sue vere finalità senza fingere che si tratta di un modo per rilanciare la RAI e la centralità del servizio pubblico.
No, questo è un disegno che punta a liquidare la RAI e a sostituirla con altri scenari.
Ora, è persin troppo evidente che com’è oggi non si può andare avanti. Sono troppe le contraddizioni, le difficoltà gestionali, le invadenze improprie della politica che rischiano, se non corrette con urgenza, di mettere la parola fine a un patrimonio culturale e a un’azienda che hanno accompagnato, nel bene e nel male, la crescita e lo sviluppo del nostro Paese. Sotto qualsiasi angolatura: dalla politica al costume, dalla cultura allo spettacolo, dallo sport all’intrattenimento. Adesso siamo arrivati al momento della scelta: o prevale la finta soluzione “tecnocratica” che punta all’azzeramento definitivo in nome di una maldestra modernizzazione, oppure il Parlamento nella sua complessità ha un sussulto di orgoglio e avvia una riforma rapida – e a costo zero – che cambia la governance dell’azienda; restituisce il giusto peso e l’adeguato ruolo a chi dirige viale Mazzini; attenua, se non cancella, l’invadenza impropria dei partiti nella gestione quotidiana dei palinsesti e dell’intera programmazione televisiva. Una riforma che non ha mire punitive contro qualcuno o contro qualcosa ma coltiva un solo obiettivo: e cioè, il rilancio e la salvaguardia del servizio pubblico radiotelevisivo che continua ad essere, checché se ne dica, un baluardo a garanzia del pluralismo e della qualità dell’offerta televisiva.
Il disegno alternativo, sostenuto appunto da un potente schieramento politico trasversale, è molto più semplice. Sfruttiamo le difficoltà – e, diciamolo pure, le enormi “porcherie” che continuano purtroppo a caratterizzare settori consistenti dell’attuale servizio pubblico – della RAI e azzeriamo il tutto copiando i soliti modelli esterofili per sganciare definitivamente la RAI dal controllo pubblico, ridurre drasticamente i canali e consegnare un servizio pubblico che assomiglia ad un bollettino informativo grigio e incolore. Insomma, una rivoluzione che cancella un polo culturale per eccellenza per ridurlo ad uno dei tanti agenti informativi del nostro Paese. Il tutto, com’è ovvio, sempre in nome del rinnovamento, del cambiamento e del superamento della odiata lottizzazione e spartizione politico e partitica.
Bene, adesso però la politica deve decidere. Altroché il Governo tecnico o dei cattedratici. Questa è e resta una scelta squisitamente politica e tocca al Parlamento pronunciarsi. Anche se di comune intesa con il Governo. E le nomine delle varie testate giornalistiche di questi giorni, al di là delle note polemiche che innescano, possono rappresentare la leva decisiva per intraprendere questo cammino riformatore necessario non solo per la RAI ma per continuare a garantire e a conservare nel Paese quel pluralismo e quella “qualità” che restano i capisaldi essenziali per un credibile e trasparente servizio pubblico.
Mi rendo conto che, in un clima di irrisolto conflitto di interessi, anche la riforma della RAI è sempre un “caso politico”. Ma proprio attorno alla riforma della RAI, al di là delle beghe quotidiane, avremo la possibilità di capire se la politica italiana attraverso le sue forze politiche più significative, guarda in avanti o se continua a procedere con lo sguardo rivolto dietro alle spalle. In gioco, quando si parla del futuro della RAI, non c’è solo un organigramma da disegnare ma il “profilo” e la qualità della nostra democrazia. Perché si parla di pluralismo, di informazione e di approfondimento. Di servizio pubblico appunto.


giv visconti - 2012-02-01
Mi risulta che la Rai ha 1500 giornalisti e Mediaset 500. A parte che troverei opportuno e meno costoso appoggiarsi all'estero e in Italia a giornalisti che scrivono per altri giornali e non mantenere centinaia di giornalisti per un numero limitato di interventi. Inoltre come si giustifica che Sgarbi, Pippo Baudo, Ferrara, ed altri percepiscano centinaia di migliaia di € e talvolta milioni senza rendere un vero servizio. Altro: ho letto che Minzolin (ex-direttore) non è licenziabile. Tutte queste cose e altre centinaia di sprechi sono i motivi delle critiche alla RAI. Qualcuno mi sa dare una spiegazione valida??? Concludendo: i dipendenti dovevano ribellarsi prima che Berlusconi e i politici precedenti creassero la fotocopia dell'Alitalia.
Dino Ambrosio - 2012-02-01
E’ indubbio che nella gestione di un ente dell’importanza della RAI si dovrebbe tendere a fornire un irrinunciabile servizio pubblico, ma purtroppo in questa situazione politica sembra quasi impossibile dar vita ad un’azienda che si elevi al disopra delle clientele politiche o degli interessi di mercato (ma sarebbe più appropriato dire: degli interessi degli operatori monopolistici che in Italia occupano il mercato). Ci vorrebbe un altro Monti capace di elevarsi al sopra delle parti, tenere conto delle richieste di tutti, ma in grado di fornire soluzioni nell’interesse della collettività.
gian franco franchetto - 2012-02-01
Secondo me la RAI DEVE RESTARE un servizio PUBBLICO e non una BerluscRAI come sta già facendo la Sig/a Lei con il Dir. TG1. Sono già (quasi) pentito di aver pagato il canone. Cordialità