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Province: la sfida del Piemonte
 
di Alessandro Risso
 

Cosa pensino delle Province i Popolari piemontesi è noto ai lettori di “Rinascita popolare”, avendo affrontato il tema sei mesi orsono in un riuscito seminario con tanto di documento finale (che alleghiamo in calce per chi non l’avesse visto). In un passaggio, dopo aver sostenuto che “Le Province hanno senso e ruolo come Enti di area vasta” e quindi devono avere popolazione e territorio adeguati, si legge: “In Piemonte si potrebbe tornare a quattro Province, come fu per alcuni decenni del Regno d’Italia, sino agli Anni Venti (un’altra epoca, altre esigenze certo, ma anche collegamenti materiali e immateriali ben diversi rispetto a quelli di oggi): Torino, Cuneo, Alessandria/Asti, Novara/Vercelli/Biella/VCO”.
Questa semplice proposta è diventata un concreto obiettivo politico per la Regione Piemonte, che ha accolto la proposta di “autoriduzione” sostenuta da Antonio Saitta e dagli altri presidenti delle Province piemontesi. Il governatore Cota ha anche annunciato ricorso alla Corte Costituzionale contro il provvedimento della manovra anticrisi, che prevede l’abolizione delle Province..
Il Governo Monti si è limitato a prendere per buono l’impegno di abolirle, preso dal Governo Berlusconi verso l’Europa. E dire che in una delle successive e confuse versioni di manovra uscite in agosto, il centrodestra aveva avuto l’idea giusta: un parametro di territorio (3000 kmq) e di popolazione (300.000 abitanti) per mantenere una Provincia. L’idea buona era però durata lo spazio di un mattino, accantonata in fretta per poter dire che veniva soppresso un ente inutile, visto che la proposta di eliminare i piccoli Comuni non stava riscuotendo i consensi sperati.. Saitta ha raccontato pubblicamente di quando si era recato con la delegazione dell’UPI (Unione Province italiane) da Angelino Alfano, appena nominato segretario del PDL, per sostenere l’utilità delle Province. Alfano, dopo aver ascoltato le ragioni degli interlocutori, chiuse l’incontro dicendo: “Sì, sì, avete ragione. Ma noi dobbiamo dare qualcosa in pasto all’opinione pubblica”. Questo è il livello di serietà della classe dirigente nazionale.
L’iniziativa Cota-Saitta cerca di smascherare il “delitto perfetto”. Purtroppo la proposta è frutto dell’emergenza. Sarebbe stato meglio avanzarla mesi fa, dimostrando responsabilità e lungimiranza, prima di venire travolti dai provvedimenti del Governo. Sapendo comunque che è difficilissimo farsi ascoltare in un clima esasperato, facile terreno per la demagogia. E sapendo anche che il ruolo della Provincia è percepito molto nel territorio esterno all’area metropolitana ma poco in città. E le città fanno più opinione rispetto ai paesi.
E dire che la sfida partita dal Piemonte otterrebbe un evidente risparmio sui costi della politica: 4 presidenti, una trentina di assessori e un centinaio di consiglieri in meno rispetto a oggi. Mantenendo però in piedi i servizi che le Province gestiscono sul territorio, evitando così di disperdere il patrimonio di risorse umane e professionali di un ente che più di ogni altro può vantare grande esperienza amministrativa e gestionale. Avrebbe poco senso affidare le molte competenze provinciali alla Regione, che non le rivuole dopo averle cedute (e che ha già problemi di ipertrofia), o ai Comuni, non attrezzati per occuparsi di problematiche di area vasta. Il tutto con la prospettiva di un peggioramento del servizio e di una lievitazione di costi gestionali. L’opposto di ciò che si vorrebbe ottenere.
Con la razionalizzazione delle Province piemontesi, oltre a indicare una strada seria e responsabile alle altre Regioni, si otterrebbe anche un effetto virtuoso per l’amministrazione dello Stato: infatti, a partire dalle Prefetture, sono diversi gli altri organismi periferici dell’Amministrazione centrale organizzati per Province. La loro riduzione obbligherà anche questi Enti a riorganizzarsi, con ulteriore risparmio di sedi, di centri di costo e di responsabili direttivi.
Il “modello Piemonte” sarebbe quindi in grado di rappresentare un esempio virtuoso di razionalizzazione dei livelli di governo, non solo locale. Anche per questo motivo, è però facile prevedere che non mancheranno forti e sotterranee resistenze.

Documento

Giuseppe Ladetto - 2012-01-19
Oggi, accanirsi contro le Province pare essere diventato un obbligo. Si dice che solo in Italia esisterebbero tre livelli di enti territoriali periferici con conseguente spreco di denaro pubblico. Non è vero: ad esempio, in Francia troviamo le Regioni, i Dipartimenti e i Comuni. Certamente occorre razionalizzare l’insieme degli enti territoriali autonomi, ridimensionandone il numero, evitando sovrapposizioni di compiti e mancanza di coordinamento tra gli stessi. Mi permetto di indicare ciò che, ritengo, sarebbe utile fare in argomento. In primo luogo non ha più senso l’esistenza di Regioni autonome a statuto speciale (fatto salvo l’Alto Adige il cui status è garantito da accordi internazionali) perché sono venute meno le motivazioni che ne avevano determinato la nascita e per il pessimo utilizzo che molte di esse hanno fatto dei poteri speciali assegnati. Vanno soppresse le piccole Regioni con meno di un milione di abitanti perché non hanno una dimensione sufficiente per giustificarne i costi di gestione. Per gli stessi motivi vanno abolite le Province con meno di 500.000 abitanti. Vanno inoltre accorpati i piccoli Comuni. Sul piano dei compiti da assegnare ai differenti enti territoriali, mi soffermo sui Comuni. Sono molto critico su come essi (in particolare quelli piccoli e medi) hanno gestito il territorio: sono i principali responsabili del dilagare di costruzioni ingiustificate e di cementificazioni che stanno devastando il nostro Paese. I Comuni per fare cassa aumentano le densità urbane, autorizzano demolizioni e ricostruzioni anche nei centri storici, consentono di costruire nelle aree pubbliche ancora libere; soprattutto non calcolano più il reale fabbisogno edilizio, ma conteggiano i metri cubi edificabili in base alle esigenze di finanziamento della macchina comunale. Occorre ridurre i costi delle macchine comunali e non svendere il territorio per alimentarle. A tal fine ritengo indispensabile trasferire alle Province tutte le competenze inerenti all’uso del suolo (piani urbanistici, varianti, e le stesse concessioni edilizie), perché solo un organismo di maggiore dimensione, rispetto alla più parte dei Comuni, è in grado di disporre degli strumenti tecnici e culturali per gestire il territorio e soprattutto non è condizionato dalle pressioni dal basso che nei piccoli e medi centri urbani influenzano negativamente ed in modo interessato le scelte delle amministrazioni. Le Province inoltre dovrebbero essere messe nella condizione di programmare la formazione di consorzi di Comuni e di coordinarli nella gestione di quei servizi pubblici locali che i piccoli e medi municipi non possono gestire correttamente. Sono un sostenitore del principio di sussidiarietà che prevede di assegnare al livello organizzativo più vicino al cittadino tutte le competenze che tale livello è in grado di svolgere adeguatamente. Purtroppo bisogna rilevare che, oggi in Italia, i Comuni non sono capaci di svolgere in modo adeguato quanto è stato ad essi attributo in tema di gestione del territorio.