Il governo Berlusconi ha portato l’Italia sull’orlo del baratro. Ma Silvio Berlusconi sostiene che è il passato ad avergli lasciato in eredità un debito pubblico insostenibile. In realtà il governo Prodi aveva ridotto l’incidenza del debito da 120 a 106 punti sul Pil, mentre Berlusconi negli ultimi quattro anni lo ha riportato sopra i 120 punti.
Tuttavia è vero che la crisi che sta colpendo i risparmi delle famiglie e l’occupazione delle giovani generazioni, non è imputabile solo alla coalizione PDL/Lega. Una critica obiettiva deve riguardare l’ultra-liberismo che domina negli Stati Uniti ed è responsabile del naufragio del capitalismo finanziario, ed anche l’assetto istituzionale che l’Europa si è data dopo l’allargamento dell’Unione ai Paesi dell’Est e dopo il “no” dei referendum francese e olandese del 2005 al Trattato proposto dalla Convenzione costituente.
Mi limiterò ad una riflessione sui limiti del nuovo trattato, di cui molti ora chiedono la revisione; con questo Trattato gli euroscettici hanno dato un colpo di freno al cammino verso l’Europa politica: hanno rafforzato i poteri del Consiglio europeo, cioè del vertice dei 27 governi nazionali, e ha ridotto il ruolo delle istituzioni comunitarie, cioè della Commissione e del Parlamento europei. Per gli europeisti la moneta unica, pilastro del mercato unico, richiede un’Europa politica: una Unione con una propria sovranità nella politica estera e di difesa comunitarie, ma anche nell’economia e nella fiscalità. Questa strategia “comunitaria” ha incontrato il veto dei conservatori, ostili all’economia sociale di mercato e al welfare europeo, ma anche della sinistra estrema che si era illusa di poter realizzare l’Europa sociale, senza avere prima realizzato l’Europa politica. E quanto questa sconfitta della strategia comunitaria abbia indebolito le istituzioni democratiche dell’Unione europea, lo ha constatato Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, quando, parlando della crisi dell’euro e della necessità che i governi nazionali recuperino credibilità sul fronte della stabilità finanziaria, si è rivolto a un Parlamento europeo semivuoto.
Le colpe degli euroscettici
Con gli euroscettici, guidati dalla Gran Bretagna, si erano schierati anche i berlusconiani e i leghisti; per Berlusconi e per Bossi, come per tutti i partiti conservatori e nazionalisti, è più importante difendere la sovranità di ogni nazione che rafforzare la sovranità all’Unione europea. Ma in questo modo si è favorito il riflusso nazionalistico della politica europea, si è operato in contrasto con il pensiero dei Padri fondatori dell’Europa, mentre un mondo globalizzato richiede più forti istituzioni comunitarie. È sufficiente seguire alla Tv le riunioni del Consiglio europeo, per comprendere quanto siano inconcludenti gli incontri tra i rappresentanti dei governi nazionali: per questa via i Paesi dell’Europa sono scivolati verso un bilateralismo che ruota attorno alla Grande Germania. Con una prevalente attenzione di Berlino per l’area nord-orientale di tradizionale influenza germanica. E l’asse della Germania della Merkel con la Francia di Sarkozy attenua, ma non cancella, l’egemonia del neo-nazionalismo tedesco. Non a caso Helmut Khol, il cancelliere che aveva ereditato la leadership da Adenauer, ha criticato Angela Merkel, tentata dall’euroscetticismo.
D’altra parte, è sempre più evidente che nel tempo della globalizzazione non possono sopravvivere sovranità nazionali, poiché quando la prova di forza riguarda i rapporti dell’Europa con la Cina, il Brasile o l’India, anche la Germania è piccola cosa. Malgrado sia il membro dell’Unione che ha tratto più evidenti vantaggi dall’esistenza dell’euro, la Germania vedrebbe la sua competitività fortemente ridimensionata dal fallimento della moneta unica, se non altro perché la maggior parte delle sue esportazioni riguardano i paesi dell’UE.
La rinazionalizzazione dell’Unione europea
La tendenza alla rinazionalizzazione della politica europea ha avuto un’altra conseguenza negativa, che i sovranisti non avevano messo in conto: ha favorito, nella politica economica e finanziaria, il riflusso dei governi nazionali a comportamenti incompatibili con l’obiettivo di Maastricht, di un trattato che comporta per tutti un rigorosa politica di bilancio. Su questo punto Angela Merkel ha ragione: i tedeschi, che temono l’inflazione sopra ogni cosa, non possono accettare di essere considerati le formiche dell’Europa, destinate a risparmiare per permettere alle cicale greche, spagnole o italiane di dissipare queste risorse.
Bisogna però sottolineare che anche in un’Unione comunitaria, la Germania resterebbe centrale; pur messa di fronte all’aggressione dei mercati finanziari ai Paesi più deboli, la Banca centrale europea potrebbe assumere una linea più attiva a difesa dell’euro. Tuttavia, per convincere la Germania a correggere la linea che ha sin’ora adottato, a tornare alla politica comunitaria, Mario Monti, autorevole europeista e premier cui è stato assegnato il compito di marcare una profonda discontinuità con il berlusconismo, deve presentarsi ai vertici dell’UE avendo assunto, per quelle che sono le responsabilità del Governo italiano, decisioni che garantiscano – nel segno dell’equità – la riduzione del debito pubblico e la ripresa della crescita economica. D’altra parte, la Merkel si è convinta che il destino dell’euro dipende dall’Italia, anche più di quanto l’Italia dipenda dalla politica della BCE; e che è stato un errore non aver difeso la Grecia dall’assalto di una speculazione finanziaria che minaccia tutta l’eurozona..
Il declino delle “famiglie politiche” europee
È necessario, a questo punto, capire le ragioni profonde dell’indebolimento degli ideali europeisti. Perchè con la riunificazione del Vecchio continente, l’Unione ha perso la spinta propulsiva che aveva caratterizzato le scelte della Piccola Europa?
In realtà il modello federalista si era già indebolito con il passaggio dal Comunità dei sei all’Unione di quindici paesi: questa per l’Europa era una strada obbligata, e tuttavia l’ingresso nell’Unione della Gran Bretagna, della Danimarca e della Svezia, Paesi che hanno conservato le monete nazionali, non poteva non annacquare il vino federalista, rafforzando solo l’idea dell’Europa “mercato unico”. Dopo la caduta del Muro di Berlino, la riunificazione con i paesi dell’ex Patto di Varsavia ha avviato ad una fase storica caratterizzata dal declino delle famiglie politiche europee (democristiane, liberali e socialdemocratiche) che – dopo la guerra civile europea – avevano ispirato le loro strategie, i loro programmi economici e sociali, agli ideali della “rivoluzione federalista”.
All’origine di questa rivoluzione, in un mondo dominato da due superpotenze (USA ed URSS), europeismo e atlantismo si sostenevano a vicenda, e le istituzioni della Comunità europea camminavano sulle gambe di anime diverse, in competizione per la “pole position” nel Parlamento di Strasburgo, ma sempre disponibili al compromesso necessario per un rafforzamento del progetto comune. Nel corso di quel ciclo storico l’Europa è diventata economicamente più forte, ma si è indebolita la coesione politica di stampo federalista. Non a caso si è parlato di “un gigante con i piedi di argilla”.
Dobbiamo allora affidarci alla leadership degli Stati Uniti? La globalizzazione ha indebolito anche questa leadership. Se riflettiamo sui nodi che condizionano la strategia di Obama, comprendiamo che la riflessione critica deve riguardare anche il modello americano, anche il capitalismo finanziario.
L’euro, il canto del cigno dell’Unione?
La nascita dell’euro è stato il canto del cigno della rivoluzione federalista?
A conclusione della sua esperienza alla guida della Commissione europea, Romano Prodi ha sentito l’esigenza di rilanciare “il sogno europeo”, ma quel progetto – il progetto di una “terza via” tra la tendenza conservatrice prevalente nel PPE ed un PSE in crescente difficoltà – ha fatto poca strada. Al libretto che riassumeva la mia esperienza di europarlamentare, e che spiegava anche le ragioni dell’uscita dei democristiani del “gruppo Schuman” dal gruppo parlamentare del PPE, poiché quest’ultimo era sempre più condizionato dai conservatori britannici e da Berlusconi, diedi questo titolo: “L’Europa (im)possibile”. Intendevo rendere evidenti le difficoltà, troppe volte sottovalutate, che si stavano delineando per l’Europa politica, pur nella convinzione che dalle difficoltà può riprendere vigore l’ideale della democrazia europea. A questo punto la riflessione si complica, inevitabilmente.
Concludo con una osservazione: se non rinascono “famiglie politiche” convintamente europeiste, capaci di contrastare il nazionalismo in ogni realtà nazionale, l’Unione europea non potrà superere la crisi che sta vivendo. Non può esistere un’Europa senza un’anima, senza una passione comunitaria capace di resistere alle tentazioni del passato e di alimentare una speranza per l’avvenire. E il riflusso verso il passato, che alcune tendenze sembrano augurarsi, non farebbe che aggravare, insieme alla crisi dell’economia, ancor più la crisi politica, in un continente coinvolto nelle tensioni che attraversano il pianeta e che da qualche tempo riguardano soprattutto le sponde del Mediterraneo. |