Il dopo Berlusconi avrà molti effetti. Le linee programmatiche del nuovo Governo in materia economica e finanziaria avranno la priorità. Del resto, è un governo di tecnici che nasce principalmente per aggredire e risolvere le drammatica crisi europea che ha investito il nostro Paese, cui proprio il centrodestra non è riuscito a dare una risposta credibile. Ma l’agenda di un Governo serio come questo non può fingere che tutto il resto sia una variabile estranea rispetto a ciò che si deve fare per il bene del Paese. Fra i molti temi, il capitolo della RAI – del suo ruolo, della sua riforma, della garanzia di un altrettanto serio e credibile servizio pubblico radiotelevisivo – non può essere frettolosamente archiviato. A cominciare dalla ormai prossima scadenza del vertice di viale Mazzini prevista per marzo. Certo, non sarà semplice pensare ad una riforma della governance dell’azienda per quell’epoca, ma è indubbio che il “nodo RAI” deve essere affrontato. Anche perché le scadenze ci sono e non possono essere aggirate.
Almeno su tre elementi sarà necessario avere risposte chiare e inequivocabili.
Innanzitutto va garantita una dirigenza credibile, che voglia il rilancio e non l’affossamento del servizio pubblico. Lo dico perché non mancano a livello politico – tanto nel centrosinistra quanto nel centrodestra – le spinte a liquidare il servizio pubblico radiotelevisivo avanzando una strampalata proposta di privatizzazione che rischierebbe, di fatto, di cancellare l’ultimo, se non l’unico, baluardo di pluralismo che resta nel panorama dell’informazione nel nostro Paese. Fuorché qualcuno pensi alla barzelletta che gli organi di informazione, cioè i grandi giornali, in mano a grandi gruppi editoriali, siano sufficienti a garantire una reale pluralità di opinioni. Rispondono, come tutti sanno, a precisi obiettivi che, di volta in volta, vengono cavalcati e che rispondono a interessi politici ed editoriali dei loro azionisti. E, sul fronte RAI, la netta discontinuità introdotta da Lorenza Lei rispetto alla dirigenza precedente, non può essere rubricata a fatto secondario, al di là delle legittime opinioni politiche di ciascun partito.
In secondo luogo, con una RAI che vede nel Ministero del Tesoro l’azionista di riferimento, va comunque preteso dall’azienda il rigoroso rispetto dei criteri che presiedono ad un vero, trasparente e credibile servizio pubblico. E quindi programmi di qualità, rispetto del pluralismo, riduzione degli sprechi, denuncia di ogni degenerazione faziosa – nell’informazione quotidiana e nei programmi di approfondimento – e uno stop a chi usa il teleschermo come una continua clava politica. Del resto, la nuova fase politica dovrebbe segnare, almeno per il momento – e si spera definitivamente – la fine delle violente tifoserie televisive pro o contro Berlusconi che ormai durano da quasi vent’anni. Santoro e Minzolini, tanto per fare un esempio, sono due facce speculari di una Tv pubblica che è vissuta all’insegna degli “opposti estremismi” e di una concezione della RAI dominata dalle tifoserie da curva sud. Insomma, una vera e quasi strutturale “sommatoria di faziosità”. Certo, se questo dovesse essere il modello di riferimento, sarebbe addirittura pertinente la proposta di chi vuole privatizzare l’azienda consegnando l’informazione a grandi gruppi industriali e a cordate finanziarie estranee al rispetto di un seppur minimo straccio di pluralismo. Tifoserie, quindi, che dovrebbero essere definitivamente soppiantate dal rilancio di “qualità” e imparzialità, che restano la vera specificità di un credibile servizio pubblico.
Per tradurre questi criteri in fatti politici e legislativi, un Governo anche tecnico non può girare la testa dall’altra parte quando si parla di RAI, di informazione, di pluralismo, di efficienza di un’azienda che comunque conta migliaia di occupati e che produce informazione e programmi che orientano il pensiero e l’azione di milioni di cittadini. Se non vogliamo cadere nella trappola dei La Russa, dei Di Pietro, dei Fassina e dei Ferrero, che chiederanno a giorni alterni le elezioni anticipate per motivi personali e di partito, occorre dare risposta concreta alla domanda di favorire una vera riforma dell’azienda. O, almeno, del suo attuale assetto di governo. Del resto, quando si parla di Europa, il capitolo dell’informazione radiotelevisiva non può essere un fatto da rubricare come elemento di serie B. Su questo versante, materia pur sempre squisitamente parlamentare, il Governo dovrà battere un colpo. Confidiamo nelle capacità, ma soprattutto nella sensibilità, del ministro Passera. |