Sono bastati due giorni per capire che il governo Monti avrà ben poco di “tecnico” ma affronterà il suo difficile compito con una visione tutta “politica”.
Intendiamoci sui termini. Mario Monti e i suoi ministri non sono dirigenti o espressione dei partiti, quindi in questa accezione non sono politici. Il che, vista la scarsissima considerazione raccolta dai “politici” presso l’opinione pubblica, non può che facilitare l’azione del nuovo governo. Che non potrà però limitarsi ad una gestione burocratica e ragionieristica dell’esistente, perché la critica situazione economica e sociale in cui versiamo richiede scelte forti e non più rinviabili. Occorrono riforme coraggiose, che necessariamente devono avere alla base solide conoscenze e chiare visioni politiche.
Monti non si è nascosto sotto il profilo tecnico ma è stato esplicito su linee di intervento che sono squisitamente politiche. Vediamone in rapida successione, spulciando qua e là nel suo discorso al Parlamento.
Un “Governo di impegno nazionale” per “rinsaldare le relazioni civili e istituzionali, fondandole sul senso dello Stato” e per “riconciliare i cittadini alla politica”. Rilancio del progetto europeo – “l’Europa siamo noi” – che deve mantenere l’unione monetaria. Per affrontare la crisi e ridurre il debito pubblico, detenuto per metà dagli investitori internazionali, “intendiamo far leva su tre pilastri: rigore di bilancio, crescita ed equità. In passato l’equilibrio nei conti pubblici è stato perseguito “alzando l’imposizione fiscale su lavoratori dipendenti e imprese”, ma “l’assenza di crescita ha annullato i sacrifici fatti”. Per crescere occorre puntare sui giovani e le donne – “le due grandi risorse sprecate nel nostro Paese” – ed essere lungimiranti, dato che le scelte degli investitori “sono guidate anche dalle loro aspettative su come sarà l’Italia fra dieci o vent’anni”. Un cardine del Monti-pensiero è che “i sacrifici necessari per ridurre il debito e far ripartire la crescita dovranno essere equi”. Non si nasconde che “esiste una questione meridionale: infrastrutture, disoccupazione, innovazione, rispetto della legalità”. Così come “esiste anche una questione settentrionale: costo della vita, delocalizzazione, nuove povertà, bassa natalità”. Entrambe vanno affrontate riconoscendo “il valore delle autonomie” ma intervenendo per “ridurre le sovrapposizioni tra i livelli decisionali e favorire la gestione integrata dei servizi per gli Enti locali di minori dimensioni”. Premesso che “sono ineludibili interventi volti a contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi (…) dando un segnale concreto e immediato”, si può contenere la spesa pubblica con “l’integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell’Amministrazione dello Stato, il coordinamento dell’attività delle forze dell’ordine, l’accorpamento degli enti della previdenza pubblica, la razionalizzazione dell’organizzazione giudiziaria”. Occorre poi intervenire sul sistema pensionistico, “caratterizzato da ampie disparità di trattamento tra diverse generazioni e categorie di lavoratori, nonché da aree ingiustificate di privilegio”, e considerare una priorità la “lotta all’evasione fiscale e all’illegalità, non solo per aumentare il gettito (il che non guasta) ma anche per abbattere le aliquote”. Monti ha così riproposto il sempre attuale “pagare tutti per pagare meno”: per centrare l’obiettivo ha indicato “il monitoraggio della ricchezza accumulata e non solo ai redditi prodotti”,”abbassare la soglia per l’uso del contante”, “accelerare la condivisione delle informazioni tra le diverse amministrazioni”. Potrebbe ritornare l’ICI, demagogicamente abolita da Berlusconi per le prime case, ma soprattutto Monti ritiene che “una riduzione del peso delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e sull’attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico”. Bersani lo dice da tempo.
Così come è musica per il centrosinistra sentire parlare di “contrasto e prevenzione del lavoro sommerso” e di “colmare il fossato che si è creato tra le garanzie e i vantaggi offerti dal ricorso ai contratti a termine, superando i rischi e le incertezze che scoraggiano le imprese a ricorrere ai contratti a tempo indeterminato”. Dopo aver citato “la conciliazione della vita familiare con il lavoro, la promozione della natalità e la condivisione delle responsabilità legate alla maternità da parte di entrambi i genitori”, Monti ha indicato nei giovani “una delle priorità di azione di questo Governo” per consentire loro di “strutturare le proprie potenzialità in base al merito individuale indipendentemente dalla situazione sociale di partenza”, investendo sui “talenti” per una “mobilità sociale ma anche geografica”. Valorizzare il capitale umano significa intervenire su scuola e università, stimolare la concorrenza, riordinare la disciplina delle professioni. E poi ancora “investire in infrastrutture”, “ridurre i tempi della giustizia civile”, “contrastare la criminalità organizzata e tutte le mafie”.
Grandi sfide per un Governo che non può essere solo tecnico. E che, sotto sotto, forse non vuole esserlo. Lo fa pensare soprattutto un segnale: a parte il numero ridotto dei ministri, la riconosciuta competenza, lo stile sobrio che già s’intravede, spicca la scelta di chiamare della “Coesione territoriale” il Ministero che si occupa degli Enti locali, marcando da subito il concetto di autonomia e sussidiarietà nel corpo unitario dello Stato. Calderoli non ha apprezzato.
Monti sarà anche un tecnico, ma se non è una decisione politica questa… |