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La vocazione politica dei cattolici
 
di Giorgio Merlo
 

Dopo Todi il mondo cattolico italiano è destinato a cambiare in profondità. L’incontro è stato caricato eccessivamente, ma è indubbio che il messaggio partito da Todi è destinato a fermentare in profondità un’area destinata ad essere protagonista nei prossimi anni. Il problema non è l’opportunità di rifare una sorta di neo Democrazia cristiana. Un partito “di cattolici” non è all’orizzonte a medio lungo periodo, eppure la necessità di dar vita ad un soggetto di “interlocuzione culturale” può cambiare il paesaggio cattolico nel nostro Paese.
E questo perché è giunto il momento che maturi finalmente una nuova vocazione alla politica. Il laicato organizzato deve fare questo salto di qualità. Se non per fare un “nuovo partito”, per ridare un giusto protagonismo, laico ovviamente, ai cattolici che vogliono intraprendere la strada della politica.
Era atteso questo ritorno della politica. E la preparazione di Todi e le ricadute concrete che sta avendo nell’articolata provincia italiana può ridestare un risveglio pubblico dei cattolici con la riscoperta di un impegno politico, oltre che sociale e culturale. Questo può rappresentare nuova linfa e la vera novità di questa convulsa fase politica italiana. Dopodiché saranno le condizioni storiche a dire concretamente se questo risveglio politico può essere funzionale a nuove formazioni e a nuovi soggetti che si contendono il consenso popolare. Ma per centrare questo obiettivo la politica, anche per i cattolici, non può più diventare un optional o un impegno balbettante ed episodico. La politica, anche la politica, deve diventare un campo di impegno costante e duraturo, un fattore educativo e culturalmente fecondo per ridare una dimensione etica alla politica contemporanea. Del resto, è proprio il cattolicesimo politico che ha saputo, nei vari periodi storici, dare uno spessore alla politica italiana senza ridurla a un fatto burocratico, tecnocratico o meramente amministrativo. Sarebbe ingiusto se la cultura cattolica non condizionasse in profondità la qualità della nostra democrazia e la stessa contesa politica.
Il ritorno alla politica del laicato cattolico organizzato può essere uno stimolo potente anche per il rinnovamento di una politica di ispirazione cristiana. Perché un conto è evidenziare l’impossibilità di far ritornare la DC nell’attuale contesto politico; altra cosa è rinnegare alla radice la possibilità di declinare, proprio nell’attuale contesto, una politica che ricalca la grande stagione democratico cristiana. Se poi questo stile, questo metodo, questa politica daranno vita, nel futuro, a un soggetto politico organizzato lo diranno le circostanze storiche. Saranno, cioè, le contingenze storiche a dirci se nella competizione politica italiana sarà necessario o meno un partito di ispirazione cristiana. Senza alcun interventismo della Chiesa, senza benedizioni curiali, senza forzature confessionali. Per la semplice ragione che nel nostro Paese non tutto il passato può essere archiviato, se non rinnegato.
È curioso, del resto, che in questi ultimi vent’anni il ruolo e l’eredità della Democrazia cristiana siano stati rimossi dalla concreta dialettica politica. Ogni qualvolta si doveva denunciare un vizio, una degenerazione, il ritorno a un passato inguardabile, non mancava il puntuale riferimento alla DC e ai suoi esponenti di spicco. Il bilancio carente della cosiddetta “seconda Repubblica” ci dice anche che i protagonisti di questo ventennio non hanno saputo tradurre la domanda di rinnovamento e cambiamento che saliva dalla società dopo l’uragano di Tangentopoli. Ecco perché dall’universo cattolico può oggi ripartire una nuova stagione politica e culturale. Senza arroganza e senza esclusivismi. E dal convegno di Todi, su questo versante, è indubbiamente partito uno spunto di riflessione per tutti i cattolici italiani.