Dopo le svariate convention generazionali, è arrivato il momento di fissare alcuni paletti. E questo non per ingessare il legittimo dibattito interno al PD ma per il semplice motivo che la corda, quando la si tira eccessivamente, si spezza. Del resto, è francamente impossibile che il PD, motore dell’alternativa al centrodestra, possa reggere a lungo in un clima di feroce contrapposizione interna, di delegittimazione costante della segreteria e con proposte e iniziative che hanno il chiaro obiettivo di presentare un partito slabbrato, indeciso e disorientato.
Il nodo non sono solo le legittime ambizioni personali – sempre più forti e sguaiate, tra l’altro – dei capicorrente delle già numerose aree generazionali. In discussione, semmai, c’è l’immagine di un partito che non può apparire fisicamente come una sommatoria di progetti, di prospettive e di ambizioni che configgono radicalmente tra loro al punto di indebolire la credibilità dell’alternativa di governo al centrodestra e, al contempo, offrendo un profilo politico del partito balbettante ed incerto. Adesso, si tratta di serrare le fila e di anteporre gli interessi generali alle legittime visibilità e ambizioni personali, di gruppo, di corrente. Del resto, le drammatiche notizie che arrivano quotidianamente dai mercati e dalle borse, non possono tollerare che il maggior partito di opposizione trascorra le sue giornate a discutere di primarie, di leadership, di organizzazione di primarie e di come eliminare definitivamente la “vecchia guardia” del partito. Se la discussione interna al PD, e sui mezzi di informazione, si limita alle beghe e alla contrapposizione correntizia tra i finti nuovisti e l’apparato di partito, a uscirne sconfitti saranno soltanto il PD e la sua cultura di governo.
Ecco perché, soprattutto dopo la Leopolda di Firenze, è giunto il momento di uscire dagli equivoci. Se qualcuno coltiva l’obiettivo di dar vita a un nuovo partito, con una nuova organizzazione interna, con nuove alleanze e una nuova classe dirigente, lo deve dire con franchezza. Anche perché le ambizioni personali non possono essere soffocate a lungo. Tutti hanno compreso, anche gli osservatori più disinteressati, che la strategia rottamatrice del sindaco di Firenze è solo un escamotage per ricoprire incarichi istituzionali di primissimo piano con una pianificazione – anche di format scenografico – accattivante e quasi scientifica. Un’ambizione ovviamente del tutto legittima, che però deve sciogliere alcuni nodi squisitamente politici. Il problema, com’è ovvio, non è solo riconducibile a motivazioni statutarie. Semmai risponde all’obiettivo che si vuol perseguire, di carattere programmatico e di natura politica. Su questo versante, al momento, non ci sono risposte chiare e convincenti. La litania delle primarie, della rottamazione, del “cacciare” tutti a casa e via discorrendo regge per il richiamo propagandistico ma, prima o poi, i nodi politici vengono a galla e vanno affrontati a viso scoperto, senza format scenografici e parole d’ordine.
E questo per un semplice motivo, quasi endemico per il centrosinistra. Da ormai quasi vent’anni, la sinistra è accusata di profonde divisioni politiche e programmatiche al suo interno. Può vincere alcune elezioni ma poi, puntualmente, si divide su come applicare le ricette per governare il Paese. Insomma, si tratta sempre di vittorie “mutilate”, che avvengono sempre contro l’avversario ma quasi mai per un progetto definito e chiaro di governo. L’ultima esperienza di Prodi con l’infausta Unione passerà alla storia non per la breve durata del suo Governo ma per l’inconsistenza programmatica riconducibile alla profonda eterogeneità al suo interno. Dove, per dirla con un ministro dell’epoca, non ci si faceva mancare nulla: una coalizione che contemplava al suo interno anche l’opposizione.
Ora, sarebbe un atteggiamento irresponsabile se questo avventurismo ramificasse prima che nella coalizione addirittura nel PD, cioè nel principale partito d’opposizione. Non aiuterebbe il Paese a uscire dalle secche in cui l’ha cacciato il centrodestra berlusconiano ma, soprattutto, non offrirebbe un’alternativa credibile e seria per il futuro. Possiamo permetterci il lusso di convivere con questa situazione a lungo per un problema di primarie, di concorrenza nella leadership e di pura visibilità personale?
Il PD, proprio il PD e tutto il PD, adesso è chiamato ad assumere una forte responsabilità politica. Nei comportamenti, innanzitutto. Ma anche e soprattutto nella proposta politica. Se dovessimo assistere, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, a questo stillicidio continuo contro la segreteria nazionale, contro la dirigenza del partito e contro la stessa prospettiva politica, a uscirne ammaccato sarebbe prima il partito e poi la stessa coalizione di riferimento. È questo l’obiettivo dei vari rottamatori? Non credo, anzi lo escludo. Ma allora va fatto un passo in avanti da parte della segreteria nazionale nell’accogliere le istanze che provengono da quei mondi e, al contempo, va chiarito sino in fondo l’obiettivo di chi ormai punta quotidianamente e deliberatamente a delegittimare il gruppo dirigente.
Delle due l’una: o il PD riscopre una forte unità politica e programmatica – seppur nella sua pluralità di orientamenti e di filoni culturali – oppure è destinato nell’arco di poco tempo a implodere vanificando un progetto, e una scommessa, che all’inizio era fortemente promettente e innovativa. È il momento, quindi, della responsabilità e della chiarezza. Altrimenti avrebbe pienamente ragione Casini quando dice che nel dramma economico e finanziario che vive il Paese c’è chi blatera di primarie tutto il giorno, cioè noi democratici, e chi si accontenta delle molte tessere fatte, cioè il PDL. Due modalità che denotano la poca rispondenza della politica alle esigenze del Paese. |