“Se uno è bischero lo è anche a 20 anni”. La celebre frase di Amintore Fanfani – pronunciata quando le rivolte generazionali nella DC non erano dettate solo dall’ostentazione della carta di identità – basterebbe a chiudere immediatamente il dibattito sulla cosiddetta “rivolta generazionale” che sta dilagando nel PD. Nessuno nega, com’è ovvio, la necessità del ricambio generazionale né il rinnovamento dei gruppi dirigenti. È curioso, però, che nel PD le cosiddette “correnti generazionali” crescano a dismisura – con relativi convegni e convention – e che il confronto tra di loro avvenga senza esclusione di colpi e, in tutta evidenza, per ragioni di puro potere. Se al momento nessuno ha ancora avanzato la proposta di abbassare la soglia anagrafica per accedere al Quirinale, è già scontato che attraverso la purezza e il disinteresse della loro battaglia politica due postazioni sono già prenotate da queste neo correnti ispirate alla carta di identità: la candidatura a Presidente del Consiglio e la Segreteria nazionale del PD. Ambizioni ovviamente legittime e del tutto naturali in un contesto dove la ricerca del potere ha la priorità rispetto a qualunque altra valutazione. Politica compresa. Ma quello che colpisce di più è che questa ricerca di puro potere in nome e per conto della carta d’identità viene presentata come un grande disegno di rinnovamento e di sicuro rilancio politico e progettuale del partito e, forse, anche della coalizione di centrosinistra. Un malcostume, quello della ostentazione dell’età, che comunque produce un progressivo impoverimento della politica se è vero, com’è vero, che “c’è sempre un puro più puro che ti epura”. Malgrado questa consapevolezza, è anche curioso che di fronte a questi fenomeni ci sia una morbosa attenzione di alcuni organi di informazione. Come se la misurazione dell’età fosse un fenomeno di per sé destinato a cambiare le sorti della politica italiana. Ma l’aspetto ancor più curioso della situazione è un altro. I protagonisti di questo ricambio generazionale ai massimi livelli della politica italiana arrivano, almeno per quanto riguarda il PD, da esponenti giovanissimi che appartengono da tempo alla cosiddetta “casta”. Il Sindaco di Firenze, su questo versante, ne è l’emblema. Insomma, abbiamo di fronte giovani che vantano una significativa carriera politica alle spalle, con incarichi ricoperti di partito e istituzionali di tutto rispetto e che possono essere definiti autentici “professionisti” della politica. Il che, com’è ovvio, è del tutto legittimo.
C’è però da chiedersi se il PD, ovvero il partito che si propone come alternativa politica, programmatica e morale alla destra e al berlusconismo, non ha nulla da dire di fronte a questo strano fenomeno di rinnovamento. Assiste passivamente al proliferare delle correnti generazionali spacciandole come elemento di rinnovamento e di buona politica? Pongo questa domanda perché se si sorvola su questo elemento non secondario, nei territori si corre il serio rischio non di alimentare un giusto e doveroso ricambio della classe dirigente ma, al contrario, di stimolare molte persone alla “fuga” da un partito che fa dell’anagrafe uno degli elementi distintivi della sua stessa identità. Un esito paradossale ma che può estendersi se non viene opportunamente affrontato e valutato in sede politica.
Certo, nel tempo dell’antipolitica tutto è permesso, ma quando si cade nel ridicolo e nell’ipocrisia eccessivi, molti prendono atto che o in un partito c’è vera cittadinanza politica per tutti oppure non c’è alcun precetto dogmatico per continuare a farne parte. Soprattutto quando si viene percepiti come ospiti o come soggetti indesiderati. Il tutto, come sempre, per motivazioni di puro potere seppur ammantato da grandi parole d’ordine sul cambiamento, il rinnovamento e via discorrendo.
In attesa che il vertice del PD batta un colpo, è bene ricordare anche di fronte a questi ennesimi tentativi di scalata al potere politico e istituzionale, che l’età non è mai fonte di rinnovamento e di “qualità” della politica. Del resto, se anche nel PD le categorie dell’antipolitica diventano gli elementi costitutivi dell’identità stessa del partito, anche noi dovremmo prendere amaramente atto della sconfitta di tutto ciò che comunemente viene declinato come cultura di governo o come capacità di saper elaborare un progetto di cambiamento della società.
Se il tutto si riduce a presentare la carta di identità all’ingresso delle varie convention generazionali che si stanno per aprire nel PD, la conclusione sarebbe amara: e cioè, anche il PD si è fatto risucchiare dalla logica della piazza, dello schiamazzo qualunquista, delle parole d’ordine dell’eterno moralismo nuovista. Che però, come l’esperienza dimostra, denota sempre una inconfessabile voglia di potere. Ecco perché la questione anagrafica, storicamente impolitica, non può diventare l’orizzonte entro il quale si costruisce la prospettiva politica del PD. Se così fosse, dovremmo prendere atto che anche questa esperienza politica volge mestamente al termine. |