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Caro Ricolfi, non ci siamo
 
di Anna Paschero
 

Secondo Luca Ricolfi l'evasione fiscale andrebbe tollerata dagli onesti perché, se non ci fosse, anche gli onesti ci perderebbero. Strana analisi, la sua, nell'articolo apparso su “La Stampa” del 26 settembre dal titolo “L'inganno dell'evasione fiscale” (allegato in calce, ndr). Non solo strana ma inquietante, perché richiama affermazioni molto simili a quelle di Berlusconi, che in più di un'occasione l'ha giustificata moralmente usando più o meno le stesse parole. Non è quindi casuale che l'evasione fiscale sia cresciuta nel nostro Paese perché – e in questo ha ragione il professor Ricolfi – diventa un fatto di cultura civica. Come è diventato un fatto di cultura civica l'atteggiamento bossiano di vilipendio continuo della Nazione e della sua Costituzione, senza che questo provochi indignazione nella gente e reazioni adeguate nel mondo della politica. Ci siamo abituati, insomma, così come ci siamo abituati, noi lavoratori dipendenti e pensionati tassati alla fonte, a sostenere quasi totalmente la spesa dello Stato (il 93% dell’IRPEF) con le nostre tasse, alla faccia di quel 7% di risorse pubbliche che provengono da lavoratori autonomi, professionisti, artigiani, imprenditori che, in virtù di un patto sociale scellerato, possono permettersi di vivere alle spalle degli onesti, difesi da leggi che consentono loro, ma a loro soltanto, di dichiarare al fisco solo in parte i loro guadagni.
Ma vediamo con ordine dove l'analisi di Ricolfi risulta oppugnabile:
Egli sostiene che alla preoccupazione per la crisi economica si aggiunge il risentimento di tipo “maccartista” di caccia alle “streghe”, gli evasori, considerati la causa di tutti i nostri mali. Ma non è forse così? L'evasione annua stimata da 120 a 160 miliardi, proveniente non certo da lavoratori dipendenti e pensionati tassati alla fonte, è una delle principali cause dell'aumento esponenziale del debito pubblico italiano, che ha raggiunto oggi il record assoluto di 1.912 miliardi di euro, pari al 120% della ricchezza prodotta nel Paese. Se paradossalmente si recuperasse tutta l'evasione di un solo anno, non sarebbe stato necessario fare due manovre “lacrime e sangue” che colpiscono chi già le tasse le paga (ovvero i contribuenti e non gli evasori) e che avranno effetti fortemente recessivi sull'economia.
Ricolfi sostiene che l'evasione prima di essere combattuta deve essere compresa. Anche Berlusconi ha giustificato più di una volta gli evasori usando gli stessi termini. Ovvero, se faccio pagare le tasse a idraulici e ristoratori essi devono aumentare i prezzi. A danno dei cittadini onesti, aggiungo io. Il ragionamento non funziona. È vero che esiste nell'immediato una coincidenza di interesse tra il cittadino (che preferisce risparmiare subito l'IVA non chiedendo la fattura) e il commerciante- artigiano-professionista (che non emette fattura così risparmia IVA e IRPEF) ma proprio incoraggiando questi atteggiamenti illegali, il cittadino/contribuente finirà con il pagare più tasse nella stessa misura in cui sono state evase, perché sarà egli stesso a incoraggiare l'aumento dell'evasione. Questo è un fatto di cultura civica e di legalità, e articoli come quelli del professor Ricolfi non incoraggiano affatto né l'una né l'altra. Anche perché la “comprensione” e la tolleranza verso gli evasori sono atteggiamenti illegali che violano un principio sacrosanto della nostra Costituzione, sancito all'art. 53, secondo il quale “tutti devono pagare le tasse secondo la loro capacità contributiva”.
Il secondo tipo di evasione fiscale richiamato da Ricolfi si può definire con “tengo famiglia”. Evado perché devo sopravvivere e difendermi dalle fauci voraci del fisco che ingoia gran parte di ciò che guadagno. Pagherei le tasse se il prelievo fosse meno oneroso. Le aliquote sono troppo alte, non posso pagare gli operai, devo licenziarli e si perdono posti di lavoro. Rispondo come risposi molti anni fa a uno statistico ed economista di fama internazionale come Paolo Sylos Labini, l'inventore del catasto elettrico, che ebbe poca fortuna perché il suo uso non venne mai reso obbligatorio con legge dello Stato. “Non è vero che c'è evasione perché le aliquote fiscali sono troppo alte, ma è vero esattamente il contrario. Ovvero l'evasione produce l'aumento delle aliquote fiscali quando esse non sono sufficienti a sostenere la spesa dello Stato”. La prova di quanto risposi allora sta nei fatti: come pubblico amministratore della mia città (Rivoli, ndr) ho recuperato il 14% a regime delle imposte comunali e, grazie a questo, sono riuscita a mantenere inalterate al minimo le aliquote di tutti i tributi locali per molti anni. Lo slogan “pagare tutti per pagare di meno” ha funzionato e si è dimostrato vincente.
La distrazione dell'opinione pubblica, come dice il professore, avviene con altri stratagemmi e non mettendo alla berlina gli evasori. L'opacità dell'operato dello Stato e l'informazione drogata, anche sulle ultime due manovra economiche, non ha prodotto finora l'indignazione e la reazione necessarie a mandare a casa questo Governo, che così malamente ha gestito i nostri soldi e che sta rischiando di far saltare gli equilibri finanziari non solo di una nazione ma dell'intera Europa. Manovre che avranno in sé effetti fortemente recessivi (diminuzione dei consumi delle famiglie, diminuzione delle entrate dello Stato, aumento della disoccupazione, in una spirale senza fine) tanto da far paventare all'orizzonte una terza manovra, nel caso in cui salti l'annunciata riforma fiscale. Devo però dare ragione a Ricolfi quando sostiene che sia la destra dello schieramento politico nazionale, sia la sinistra, non hanno finora dimostrato di voler combattere l'evasione fiscale in maniera efficace. Solo Prodi nel 2008 dettò una serie di provvedimenti che avrebbero in qualche misura potuto incidere sul fenomeno. Provvedimenti, inutile dirlo, tutti revocati dall'ultimo governo Berlusconi.
Il sistema per combattere l'evasione, non solo recuperando risorse di cui c'è fortemente necessità senza infierire sui contribuenti onesti ma anche ristabilendo condizioni di equità attraverso una cultura dello Stato che si è persa negli ultimi anni, esiste. Gli strumenti ci sono tutti, basta volerlo fare veramente. Basterebbe creare una volta per tutte quel “contrasto di interessi” attraverso la deducibilità dalla base imponibile dell'importo dei beni e dei servizi acquistati con fattura o con documento fiscale del venditore. A cominciare da quelle categorie a forte rischio di evasione che tutti conosciamo, abolendo studi di settore (talvolta anche vessatori) e facendo emergere la vera capacità contributiva di ciascuno, come vuole la Costituzione.

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Leonello Mosole - 2011-09-29
Avete mai riscontrato che Ricolfi abbia avuto una posizione chiara rispetto a qualsiasi problema? Si barcamena e le sue analisi (diciamo così) sono spesso fumose. L'unica è non leggerlo e sperare che paghi le tasse.
Valter Morizio - 2011-09-28
Per quanto riguarda i commercianti, che dire quando neppure nei bar interni alle istituzioni il gestore batte lo scontrino. Lo fa davanti a tutti, amministratori, dipendenti, utenti, sindacalisti ecc. ecc. Abbiamo mai letto di una Amministrazione di destra, di centro e ahimè anche di sinistra che ha revocato la concessione perchè il gestore evadeva il fisco? E sapete a una mia precisa domanda del perchè non emettesse lo scontrino, mi è stato risposto:" con quel che pago di concessione e con gli sconti, che tramite il sindacato, devo fare ai dipendenti dell' ente, se non faccio del nero non mi salvo (l' uovo, la gallina ed il pollaio? Forse quando si fanno le gare c'è da chiedersi in che modo il vincitore potrà reggere l'appalto). Un po' meno di ipocrisia aiuterebbe.
Valter Morizio - 2011-09-28
In parte mi riconosco nelle parole del prof. Ricolfi. L'evasione fiscale bisogna conoscerla in tutti isuoi aspetti, capirla per poterla combattere, altrimenti si fanno solo proclami ma non si incide sul problema. Partendo dalla mia esperienza personale, legata al settore dell'edilizia ma che può estendersi anche ad altri settori, uno di quelli a più alta "tensione evasiva", vorrei fare alcuni considerazioni e sfatare alcuni tabù ideologici e poco attinenti alla realtà. Cominciamo a sfatare che gli evasori sono solo gli artigiani, commercianti, professionisti e imprenditori. Lo sono anche i lavoratori dipendenti, specie nelle piccole imprese, quando ad es. pretendono (il termine non deve apparire categorico, ma è aderente alla realtà) di essere pagati in nero quando compiono ore straordinarie, in particolar modo i lavoratori più qualificati. Richiamo l'attenzione che un fatto analogo è successo su vasta scala presso le concerie Mastrotto di Vicenza. L'alternativa, al rifiuto da parte del datore di lavoro, è che il lavoratore vada a fare la ristrutturazione del bagno della sua vicina di casa in nero, con il rischio che, dovendo finire il lavoro iniziato in nero si metta in mutua o chieda le ferie. Quindi per l'imprenditore che ha bisogno di poter contare sul proprio dipendente sia per i lavori straordinari sia in un rapporto continuativo si vede "costretto" ad aderire alla richiesta del suo dipendente. Di qui si innesca un fenomeno, noto allo stesso sindacato che nulla fa di concreto per combatterlo (spesso sono i lavoratori sindacalizzati ad attuarlo) che chiamerei dell'uovo o della gallina (chi nasce prima): l'imprenditore esegue lavori in nero, per poter avere entrate con cui pagare i propri dipendenti in nero, se può anche leggere al contrario i lavoratori vogliono essere pagati in nero perchè sanno che l' imprenditore esegue tali lavori. Si innesca quindi un processo a catena che coinvolge tutti, dall'imprenditore, al dipendente, al commerciante che vende i materiali al cliente finale che viene "indotto" a far eseguire i lavori in nero (se non tutti una parte). Tutti complici, nessun complice. Questa catena si spezza solo se si effettuano alcune scelte politiche, quali la defiscalizzazione delle ore straordinarie tali da renderle più convenienti delle ore contrattuali e la possibilità di poter detrarre da parte del committente le spese effettuate con aliquote che siano maggiori dell'IVA che si va a pagare sulle fatture. Cioè il cittadino deve poter trovare conveniente farsi fare una fattura con IVA al 10% se può detrarne l'importo complessivo (IVA compresa) pari almeno al 30% (30% è l' utile d'impresa che normalmente si applica) per non rendere conveniente all'imprenditore comunque uno sconto sulle opere maggiore del proprio utile. Evasione di necessità: oggi con la crisi e con l'ingresso sul mercato del lavoro di molte imprese costituite da lavoratori artigiani stranieri molte ditte nazionali e non sono costrette per sopravvire al mercato al lavoro sommerso. Esiste un mercato fatto di troppa concorrenza sleale, a torto o a ragione (al di sopra di questioni razziste) addebitabile alla immigrazione regolare ed irregolare. Anche qui abbiamo il fenomeno dell'uovo e della gallina. E' un fatto però che molte imprese costituite con titolare e lavoratori stranieri o eseguono lavori in nero, con l' uso di certificazioni false (il DURC) , o pur fatturando non versano le tasse e i contributi. Si gioca con il fatto che queste ditte nascono e muoiono dopo pochi anni (il tempo necessario per scomparire prima dei controlli) e successivamente si riciclano con altre denominazioni ed altri titolari. Il fenomeno trova ampia "giustificazione" innanzitutto dovuta al fatto che i contributi assicurativi versati ai fini pensionistici in Italia non vengono riconosciuti dal nostro Stato quando il lavoratore torna al suo paese di origine. Quindi non vi è interesse per il lavoratore straniero di fatturare, pagare tasse e contributi, se quando torna al suo Paese (Romania ad es.) non gli valgono per la pensione. Anzi si incentiva una tipica azione di rapina in Italia: eseguire tanto lavoro in nero per poter accumulare più risparmi possibili da inviare a casa. Questa distorsione di mercato determina una reazione a catena, che per essere colpita richiede azioni politiche efficienti, quali controlli rapidi (istantanei) e il riconoscimento dei contributi versati a fini pensionistici non solo in Italia, ma ovunque. Non credo di aver svelato nulla, sono "fenomeni " noti sia alle associazioni di categoria, ai sindacati e alle stesse forze politiche. Il problema è che si fanno tante chiacchiere, ma non si affrontano realmente i problemi, per convenieza. Solo quando la politica smetterà di ragionare per "convenienza", ma per giustizia, si potrà combattere con efficacia l'evasione fiscale a tutti i livelli. Finchè si parlerà della evasione fiscale in termini morali, non si andrà da nessuna parte.
maurizio sbrana - lucca - 2011-09-28
Condivido pienamente l'analisi di Anna Paschero. Naturalmente non credo che questa compagine (!) governativa sia in grado di porre mano ad una seria riforma fiscale, in parte per l'ideologia che la sostiene, in parte (forse) anche per inettitudine! Comunque una cosa resta certa: il Paese è 'al capolinea' e sarà la BCE (e la Germania...) che continuerà a premere l'Italia, in quanto se 'salta' l'Italia, salta l'intera Unione... L'altro problema,poi, è se anche l'opposizione sia in grado di comprendere che è urgente una riforma che rivoluzioni il sistema fiscale italiano, nel senso dell'applicazione, finalmente, dell'Art.53 della nostra Costituzione!
Torelli Roberto - 2011-09-28
Solo abbandonando l'attuale sistema induttivo/sintetico di accertamento dei redditi e introducendo il sistema analitico/deduttivo/sistematico previsto dall'articolo 53 della Costituzione potremo mettere in condizione gli "autonomi" di dichiarare al fisco i loro totali ricavi e le loro totali spese così come deve essere per i lavoratori dipendenti e pensionati per essere tassati sulla differenza ricavi totali/spese totali. Insomma dobbiamo dare al contribuente il DIRITTO di dichiarare al fisco la sua VERA CONDIZIONE ECONOMICA CHE E' FATTA, APPUNTO, DI RICAVI E SPESE. Per saperne di più visitate il sito dell'Associazione Articolo 53: http://sites/google.com/site/articolo53
franco maletti - 2011-09-28
Si potrebbe liquidare l'articolo di Ricolfi con l'osservazione che "o lo è, o ci fa...". Ma questo penso che risolva nulla. A partire da Tremonti, ci viene spiegato che l'economia è un mistero al quale per noi comuni mortali non è concesso accedere e tanto meno capire. Dobbiamo "fidarci" e basta. Ma io non ci sto. Per tanti anni, (come funzionario nel sindacato mi occupavo di vertenze di lavoro), mi è capitato di avere a che fare con rappresentanti della controparte impegnati a difendere con accanimento i loro associati (nonchè "datori di lavoro"), anche quando questi ultimi avevano mostrato comportamenti palesemente indifendibili: non solo sul piano della corretezza, ma anche su quello della legalità. Osservo che, rispetto a quello che accade oggi i "Ghedini in nuce" di allora mi fanno sorridere... Ma mi fanno anche ricordare. Un giorno (di tanti anni fa, ripeto) a un alto funzionario della controparte particolarmente accanito nel difendere il suo associato, ho fatto questa domanda a bruciapelo:" Perchè difendete con tanto vigore persone che, prima di ogni altro, danneggiano proprio voi datori di lavoro onesti?". Allo sguardo stralunato del mio interlocutore ho aggiunto:"Le faccio un esempio. Se in una determinata via in una determinata città ci sono due imprenditori in concorrenza tra di loro, con la differenza che, mentre il primo è perfettamente in regola, paga le tasse e versa i contributi, il secondo invece ha lavoratori sottopagati e in nero, quindi non paga nè tasse nè contributi, secondo lei qual è il primo a chiudere bottega?...". (Silenzio). Ecco, qualcuno può fare la stessa domanda al sig. Ricolfi?