La fine ingloriosa del berlusconismo intacca e sgretola l’intero sistema politico italiano. Al di là di qualsiasi giudizio morale ed etico, è indubbio che il capolinea politico di Berlusconi provoca effetti che vanno sapientemente interpretati attraverso un’iniziativa politica che non può banalmente replicare il passato.
E il PD, il principale partito dell’opposizione al centrodestra, è chiamato a dare una risposta concreta, tempestiva e coerente con la sua recente storia e, soprattutto, con il suo profilo politico e naturale.
A cominciare dal capitolo delle alleanze, diretta conseguenza del progetto programmatico di governo. La fotografia di Vasto con i tre leader, su questo versante, non può che essere il punto finale della strategia del PD.
Del resto, sono almeno 3 i punti cardine attorno ai quali ruota il progetto del PD: costruire una coalizione di Governo; archiviare definitivamente una vecchia e logora alternativa di sinistra; essere il perno di un progetto riformista alternativo al conservatorismo corporativo e a uno schieramento puramente “contro”.
Tre criteri che disegnano già una strategia politica: l’abbandono di qualsiasi forma di estremismo e massimalismo che serpeggia, oggi in modo più evidente, nella società italiana. Una strategia che porta il PD a non cavalcare tutto ciò che è riconducibile all’antipolitica e alla violenza antistituzionale, pena relegarsi a giocare un ruolo marginale periferico rispetto all’evoluzione politica complessiva. E, soprattutto, a declinare sino in fondo una strategia di centrosinistra che non venga lontanamente percepita come un partito che persegue un banale prolungamento delle esperienze politiche tradizionali della sinistra italiana. Del resto, non possiamo dimenticare la stagione del post-tangentopoli quando la storia pareva illuminare la “gioiosa macchina da guerra” che, invece, si rivelò come uno degli errori più nefasti della lunga e tormentata storia della sinistra italiana. Senza una stretta alleanza tra la sinistra riformista e il centro moderato, la sconfitta elettorale è pressoché assicurata. Stupisce che esponenti di primo piano del PD non si rendano conto di questa banale osservazione. Riproporre oggi, seppur in forme diverse, l’Unione significa condannarsi a giocare un ruolo minoritario o, al più, a declinare un non-governo imprigionato da veti contrapposti e condizionato da spinte massimaliste incompatibili con una trasparente e credibile azione di governo.
Certo, l’infatuazione del “mattarellum” non aiuta e non stimola il PD a correre lungo il sentiero di un’alleanza di governo. Il sacrosanto superamento del “porcellum” non dovrà innescare un meccanismo politico elettorale già tristemente noto alle cronache politiche: le ammucchiate hanno fatto il loro tempo e i cartelli elettorali non sono compatibili con una stagione costituente. Alle macerie berlusconiane non si può e non si deve rispondere con un’armata brancaleone.
L’opinione pubblica italiana, dopo una lunga stagione di non scelte, attende una fase dove la politica ritorni protagonista e non prigioniera dei veti ideologici.
Ecco perché i meccanismi elettorali non sono mai neutrali, ma rispondono sempre a un disegno politico. Anche su questo versante il PD non può limitarsi a cavalcare le onde. Dire no al “porcellum” non può essere confuso con l’adesione acritica al “mattarellum” che significherebbe, con una nuova necessaria ammucchiata, l’abbandono di qualunque profilo riformista e di governo della futura coalizione.
Dunque, è arrivato il momento di scelte politiche nette e chiare.
La foto di Vasto può essere l’inizio di un percorso come ha detto, con l’ormai consueto buonsenso Bersani. Ma Vasto non può essere confuso con l’embrione della futura alternativa di sinistra. Il PD deve fornire risposte adeguate e definitive. Tergiversare non serve più. L’ultima cosa che possiamo fare è quella di assistere passivamente alla formazione di un “grande centro” che si allea con formazioni politiche della destra democratica e che si propone di “ricostruire” il Paese dopo il fallimento della lunga “anomalia berlusconiana”.
Sarebbe la sconfitta del PD, del riformismo democratico e di tutti coloro che hanno scommesso su questa avventura politica nata nel 2007. Per scongiurare questo scenario il PD deve essere semplicemente se stesso. Cioè una grande forza politica popolare, riformista e di governo. Nulla di più e nulla di meno. Per il bene del Paese e per inaugurare una nuova stagione politica che veda il PD protagonista e motore del cambiamento. |