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PD e questione morale
 
di Giorgio Merlo
 

C’è una questione morale aperta nel Partito democratico? La domanda risuona, a volte in modo esplicito a volte sottotraccia, nel dibattito all’interno del PD e, soprattutto, nel confronto politico in generale. Al di là degli avversari storici e incalliti del partito che hanno già emesso sentenze anticipate e definitive.
Ora, senza fare di tutta l’erba un fascio e senza rubricare il tema all’ordinaria amministrazione, credo sia utile avanzare alcune riflessioni attorno a un tema che rappresenta un “cruccio” non facilmente digeribile e che non può essere archiviato frettolosamente.
E allora diciamo subito che nel PD non esiste una questione morale aperta. Non c’è un sistema degenerativo nel rapporto tra il partito e la società, tra il partito e l’economia e tra il partito e la pubblica amministrazione. Insomma, nulla a che vedere con la fase terminale della prima Repubblica dove la degenerazione dei partiti, di tutti i partiti nessuno escluso, era troppo evidente per essere sottaciuta o sminuita. Adesso, nel pieno rispetto delle indagini della magistratura sul cosiddetto “caso Penati”, credo si possa tranquillamente dire che ci troviamo di fronte a casi che vanno comunque affrontati con la massima intransigenza e severità di giudizio rispettando sino in fondo le norme e le regole contenute nello Statuto del partito. Ed è proprio per questo che le accuse generiche e qualunquiste vanno sconfitte alla radice e semplicemente rispedite al mittente. Perché se così non fosse, dovremmo prendere atto che, al di là delle “diversità” genetiche o meno che siano, anche nel PD c’è una sorta di indifferenza nei confronti della “questione morale” e del rapporto sempre attuale tra la politica e l’etica. Ovvero, dell’importanza che deve sempre avere nella politica la cosiddetta cultura del comportamento. A prescindere da qualsiasi strumentalizzazione o richiamo moralistico.
E questo lo dico perché il PD non è un partito “diverso” secondo le definizioni del passato, ma semplicemente perché è un “altro” partito rispetto alle precedenti esperienze politiche e organizzative. Qualunque esse siano state. È francamente ridicolo e grottesco sentire alcuni esponenti politici, o della cosiddetta società civile, sostenere la tesi che il PD è sostanzialmente il prodotto dei vari Greganti o Penati. Al di là delle storie, delle esperienze e delle disavventure dei singoli, è appena il caso di ricordare che il PD è il prodotto di culture, di vissuti e di politiche profondamente diverse tra di loro e del tutto estranee a tutto ciò che è riconducibile al passato. E chi accomuna le storie del passato ai fatti di cronaca del presente, compie un’azione di disonestà intellettuale e di volgarità politica che va denunciata senza equivoci e senza balbettii. Da qualunque parte provenga e da qualunque tribuna arrivi la predica. Del resto, un rapporto corretto tra il richiamo etico e l’azione politica non può essere solo un fatto da sbandierare nei comizi e nelle tribune ma, al contrario, è la dimensione costitutiva che dovrebbe caratterizzare l’esperienza politica e istituzionale dell’intero partito e dei singoli Democratici.
Semmai, si tratta di affrontare con altrettanta franchezza e trasparenza il capitolo del finanziamento alla politica e, quindi, ai partiti. Certo, se anche tra di noi pensiamo di affrontare questo tema delicato – ma essenziale per la “qualità” della nostra democrazia – con i canoni della montante antipolitica, possiamo rassegnarci alla conclusione: e cioè, i partiti vanno aboliti e la politica la appaltiamo ai miliardari di turno e ai capi carismatici. Con tanti saluti alla democrazia dei partiti e alla partecipazione dal basso. Del resto, senza partiti – e lo dice la stessa Costituzione – è la stessa democrazia a uscire sconfitta. Ma il tema dei partiti, della loro democrazia interna, della trasparenza dei finanziamenti e dei criteri per la selezione della classe dirigente, non possono essere elementi estranei a una discussione che non può più essere rinviata. Fuorché si pensi, lo ripeto, di gettare gli ormeggi e di rassegnarci alle parole d’ordine dell’antipolitica che, come tutti sanno, ha sempre uno sbocco concreto e preciso: e cioè, vira sempre a destra. Verso un contesto che riduce la rappresentanza democratica, azzoppa i partiti ed esalta i “salvatori della patria”. Che, normalmente, sono poco amanti della democrazia e preferiscono decidere in proprio in virtù della perdita di tempo provocata dalla democrazia dei partiti. Salvo rendersi conto, dopo qualche tempo, che ogniqualvolta si affida il futuro nelle mani di qualche salvatore, la democrazia viene sospesa e lo Stato di Diritto va in soffitta.
Ecco perché, partendo dalla discussione sull’ipotetica “questione morale” del PD si deve aprire, finalmente, una discussione e un confronto parlamentare sulla democrazia dei partiti e sulla loro disciplina politica e giuridica. È un’iniziativa, questa, che contribuisce a qualificare la nostra democrazia e che, al contempo, esalta ancora una volta il ruolo dei ceti popolari. Che, come diceva Donat- Cattin, solo attraverso lo strumento del partito “possono diventare da ceti subalterni a ceti dirigenti del nostro Paese”.


Antonella Luchino - 2011-09-19
Bungiorno, putroppo le cosiddette "mele marce" ci sono in tutti i settori della societa' civile. Forse occorrerebbe iniziare ad espellere dai partiti chi non si comporta onestamente e a non dargli mai piu' la possibilita' di gestire la cosa pubblica. Sono troppo drastica?