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No a una nuova Unione
 
di Giorgio Merlo
 

Lo sciopero indetto dalla CGIL e la massiccia partecipazione popolare nelle varie piazze d’Italia pongono un doppio problema: gettano una lama nel processo, ormai sempre più remoto, dell’unità sindacale e, soprattutto, ripropongono sullo sfondo l’alleanza di sinistra come alternativa di governo al centrodestra in vista delle prossime elezioni politiche. Non a caso, a partire dalla manifestazione di Torino, si parla apertamente di un “nuovo laboratorio” sociale che condizionerà le mosse politiche della futura alleanza alternativa alla destra.
Il nodo politico che si pone è molto semplice e, al contempo, di difficile soluzione: il centrosinistra che si sta per costruire dovrebbe contenere al suo interno il cosiddetto “laboratorio sociale” composto dalla FIOM, dai centri sociali, dai no TAV, dai no global, dai Ferrero e dai Diliberto di turno? Sarebbero questi i soggetti politici e sociali che garantiscono, in un’alleanza con PD, SEL e IDV, la governabilità del nostro sistema politico e la ripresa del sistema economico e produttivo?
Il tutto benedetto dal sistema elettorale – il cosiddetto “mattarellum” – che è sostenuto, guarda caso, proprio da quei partiti che pensano di ottenere un vantaggio marginale ma decisivo ai fini della costruzione della futura maggioranza.
E, ancora, questa cosiddetta alleanza politica ed elettorale come potrebbe saldare un programma comune con forze moderate di centro come l’UDC?
Domande apparentemente scontate che richiedono, però, una risposta politica convincente e ferma. Soprattutto da parte del PD che, piaccia o non piaccia, rappresenta l’asse portante di qualsiasi alternativa di governo al centrodestra. Certo, la divisione sindacale e la contrapposizione frontale tra la CGIL e la CISL non aiutano a costruire una coalizione autenticamente di governo che non vuol cedere ai richiami massimalisti ed estremisti, che sconfinano facilmente nella violenza di piazza. Come è puntualmente avvenuto, addirittura in manifestazioni indette dalla sola CGIL. Domande politiche a cui si risponde, a mio giudizio, in due modi. Definendo innanzitutto un programma di governo credibile. Un programma che difficilmente è compatibile con un “no a tutto” che caratterizza larga parte di quel “laboratorio sociale” a cui facevano riferimento alcuni osservatori dopo i vari cortei del 6 settembre. E, in secondo luogo, il PD deve sciogliere un nodo che, cacciato dalla porta, si è prontamente riaffacciato dalla finestra. E cioè, il capitolo dell’Unione – il periodo più triste del centrosinistra italiano – è definitivamente archiviato o ci dobbiamo ancora convivere a lungo? Lo chiedo per un semplice motivo. Se il cosiddetto “mattarellum” continua ad essere il sistema elettorale più gettonato – al di là del positivo recupero del rapporto tra eletto ed elettore – è perché si continua a pensare che la prospettiva del centrosinistra è quella di giocare tutti contro il nemico. Per centrare questo obiettivo serve una coalizione ampia, pur raccogliticcia ed eterogenea ma unita nel colpire l’avversario. Insomma, una proposta che recupera il caravanserraglio dell’Unione e getta le basi per una nuova ennesima guerra del tutti contro tutti, con tanti saluti a una sana e fisiologica democrazia dell’alternanza. Che lo dica Prodi non stupisce, perché è legata alla sua, seppur breve, ultima esperienza di governo. Ma che lo pensi tutto il PD sarebbe francamente preoccupante.
La proposta di riforma elettorale che si persegue non è affatto indifferente alla costruzione della prospettiva politica del Partito democratico. Del resto, prima dell’ultimo improvviso innamoramento per il “mattarellum”, il PD aveva elaborato una proposta di riforma elettorale che, attraverso il doppio turno di collegio, perseguiva l’obiettivo di costruire una coalizione il più possibile di governo, coesa e non esposta al vento del massimalismo e dell’estremismo.
Per evitare che la fase politica che si aprirà con il dopo Berlusconi assomigli troppo a quella presente e passata, molto dipenderà dalle scelte politiche concrete che farà il Partito democratico. A cominciare anche da come si confronterà con i temi suggeriti dall’antipolitica e dal rapporto con la “piazza”. E questo non per depotenziare le criticità che sono emerse dall’irrompere di una sguaiata antipolitica o per ridimensionare l’importanza della piazza ma, semplicemente, per evitare di ridurre il ruolo e l’iniziativa di un grande partito a cavalcare tutto ciò che arriva per ultimo o a chi la spara più grossa. Anche perché, come ricordava il vecchio Nenni, “in politica come nella vita c’è sempre un puro più puro che ti epura”. Ecco perché il PD in questa fase politica ha una grande responsabilità. Deve saper dimostrare coraggio nelle scelte, coerenza nei comportamenti e determinazione nel perseguire un programma e nel costruire una coalizione che non ripropongano vecchi e consumati schemi. L’alternativa di sinistra non è un obiettivo credibile. Come non è credibile pensare che il cosiddetto “laboratorio sociale” uscito dalle piazze della CGIL possa rappresentare una coalizione in miniatura. Se così fosse temo che consegneremmo nuovamente la guida politica del paese al “miliardario” di turno che si fa carico delle esigenze del Paese contro tutti i massimalismi e gli estremismi. E questo, stavolta, i riformisti non se lo possono più permettere.


Andrea Griseri - 2011-09-12
Attenzione: il no a tutto è deprecabile ma è riduttivo etichettare in questo modo il c.d. laboratorio sociale; inoltre alcuni temi non vengono nè dalle estreme nè dai nostri vertici trattati in modo autenticamente moderato! Per esempio la questione delle Grandi opere: un moderato (nel senso della ragionevolezza e della sollicitudo rei socialis) valuta con attenzione di volta in volta l'opportunità di investire il denaro pubblico e si chiede a quale modello di sviluppo corriponda l'intervento, non dice sì ad ogni richiesta, supportata magari da motivazioni superficiali, dei famosi e famigerati soggetti forti; il sì ad ogni costo è segno o di estremismo o di collusione o di tragica debolezza della politica. Proprio ciò che tutti quanti siamo impegnati a scongiurare.
Adelina - 2011-09-09
La penso diversamente. Nel senso che nella manovra sono state introdotte norme che violano e modificano la Costituzione, in particolare gli art. 8-18-41. La CGIL, poi il comitato Dossetti, sono stati gli unici che hanno evidenziato il problema. Mi sono molto, ma molto stupita, che tutti gli altri abbiano preso le distanze. Come mi sono altrettanto stupita che il PD non abbia sposato in pieno la decisione della raccolta firme per abrogare questa pessima legge elettorale(il porcellum) con scuse varie, ma secondo me nessuna è giustificata perchè è l'unica (o almeno è una) possibilità per davvero cambiarla.
franco maletti - 2011-09-09
Mi sembra che, nella lunga serie di problemi prospettati da Giorgio, si abbia come punto fermo l'attuale composizione parlamentare diversamente ripartita. Non si tiene conto, quindi, che nella maggioranza degli elettori si sia radicata ormai la convinzione che i singoli parlamentari, quelli che sono onesti nelle loro intenzioni, contino meno di nulla: essendo questi ultimi sovrastati da una stragrande maggioranza di faccendieri per i quali contano soltanto i loro interessi personali. In tale situazione, fare un passo indietro e tornare al passato recente, per i più è soltanto il tentativo estremo di scardinare una situazione cementata da interessi che nulla hanno a che vedere con quelli del Paese. I "Villari" si sono moltiplicati al punto di soffocare la democrazia trasformandola in mafiocrazia. E' indubbio che la CGIL, essendo il sindacato per tradizione più politicizzato nonchè autoeletto come "vero" rappresentante dell'intero mondo del lavoro, oggi cerchi di convogliare la protesta sotto le sue bandiere. Ma, se così non fosse, quanti oggi sarebbero in piazza con i forconi, magari manovrati da incontrollabili Beppe Grillo? Chi ha conosciuto il terrorismo delle Brigate Rosse credo sia disposto a qualunque compromesso pur di non ritornarvi. Anche perchè, a quel punto e come i fatti hanno ampiamente dimostrato, sarebbero i lavoratori a perderci per primi. La CISL, invece, fa il suo lavoro di sindacato tradizionale, compressa nel suo ruolo anche dal fatto che i suoi iscritti sono a maggioranza di centrodestra. Io non vedo quindi pericoli per l'unità sindacale, ma soltanto due modi diversi di affrontare il problema: più politicizzato da parte della CGIL, più tecnico ed emotivamente estraneo da parte della CISL. Poichè, come già ho detto e ripetuto, non credo che l'attuale parlamento sia in grado di modificare qualsivoglia legge elettorale, non considero un atto di "lesa maestà" sottoscrivere il referendum: ben sapendo che non è che il primo passo di un lungo cammino tutto da percorrere.
silvio falco - 2011-09-09
Caro Giorgio, la sua lettera è molto attuale per noi Cuneesi, che in vista delle elezioni comunali di aprile stiamo ragionando sulle primarie a cui noi di Cuneo Solidale (lista civica espressione dell'associazionismo cattolico) guardiamo con molta freddezza.