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Il valore dei piccoli Comuni
 
di Alessandro Risso
 

La scure della supermanovra si è abbattuta sugli Enti locali. Come Popolari siamo notoriamente favorevoli a un organico ed equilibrato sistema di autonomie. Abbiamo già avuto modo di definire la nostra posizione – che è poi quella prevista dalla Costituzione – sui vari livelli di governo locale.
Le Regioni hanno ruolo legislativo, di programmazione e controllo: non sono tenute ad amministrare direttamente e quindi possono e devono "dimagrire", avendo via via assunto una stazza di tipo "ministeriale". Passare dal centralismo statale a un neocentralismo regionale non era certamente negli auspici di don Sturzo.
Le Province sono Enti di governo dell'area vasta: per questo loro ruolo sono indispensabili, devono essere grandi e ricevere dalle Regioni i compiti amministrativi che queste trattengono impropriamente. La prevista abolizione di quelle che non raggiungono i 3000 kmq (un centesimo della superficie dell'Italia) o i 300.000 abitanti (un duecentesimo della popolazione) è un fatto certamente positivo che porterà un riordino territoriale migliore dell'esistente.
Bisognerebbe ancora auspicare che la Regione Molise retroceda a Provincia abruzzese e che vengano fortemente ridimensionati, se non aboliti del tutto, i privilegi delle Regioni e Province a statuto speciale.
La manovra prevede poi l'abolizione d'ufficio dei Comuni con popolazione inferiore ai 1000 abitanti. Si tratta di quasi duemila paesi, di cui 600 in Piemonte, insieme alla Lombardia le Regioni con la maggior presenza di piccoli Comuni. Dai primi anni Novanta si cerca di intervenire sulla eccessiva frammentazione dei territorio. Dalle leggi Bassanini, che cercarono di favorire le fusioni tra Comuni – fallendo completamente lo scopo –, si è passati a incentivare i servizi associati – ottenendo progressivamente discreti risultati, limitati ad alcuni ambiti –, per poi prevedere solo pochi mesi fa "l'associazionismo forzato", e arrivare ora all'abolizione dei più piccoli. Dove manca un disegno organico non si è capaci a razionalizzare, e si prendono provvedimenti di pancia che gettano via, come si dice, "il bambino con l'acqua sporca".
Il Comune è il cardine del nostro Stato, come riconosciuto dalla Costituzione al titolo V. E non si tratta solo di una enunciazione di principio. Il municipio è un presidio del territorio, nel quale si identificano i cittadini. Rappresenta, con il campanile, la storia e l'orgoglio di una comunità, che quasi sempre si manifesta nella vivacità della Pro Loco, del Gruppo Alpini e di altre associazioni. Questa è una grande ricchezza delle nostre province, della nostra Italia. Occorre quindi trovare il modo di mantenere il riferimento alla municipalità facendo passare le funzioni dei Comuni alle Unioni di Comuni. L'esperienza della Francia – che ha oltre 36.000 Comuni – può essere un utile riferimento.
Certamente un "Comune polvere", con una popolazione spesso inferiore a quella di un grande condominio, non ha ragione di mantenersi così com'è. I Comuni devono essere indotti ad associarsi: meglio se ne sono convinti. Gli enti troppo piccoli faticano ad essere efficienti, malgrado la professionalità e l'adattabilità di chi ci lavora, e l'impegno degli amministratori. Tanti di questi sono autentici "volontari civici", non ricompensati per le responsabilità assunte e le grane da risolvere dalle poche centinaia (per i sindaci, la metà per gli assessori) o poche decine di euro ( per i consiglieri) percepite annualmente. Altro che "casta dei politici"! La demagogia e gli slogan, confezionati lontano dalla realtà dei nostri territori, sono utili a conquistare un titolo di giornale ma non a risolvere i problemi. Ad esempio, Calderoli si riempie la bocca del (presunto) taglio di 87.000 poltrone negli enti locali. Di questi circa 20.000 dovrebbero essere i consiglieri dei piccoli Comuni aboliti. Il risparmio che si otterrà è facilmente quantificabile: in ogni Comune, 16 euro lordi per 10 consiglieri per 5 consigli comunali fanno la fantasmagorica cifra di 800 euro annui; 4000 euro risparmiati per l'intero mandato amministrativo quinquennale in un paese. Moltiplicati per i duemila Comuni – che saranno meno, considerati gli accorpamenti – fanno un minor costo di circa un milione e mezzo di euro l'anno, più o meno la quota di integrazione pasti pagata dal Senato per mantenere i noti prezzi "supereconomici" nella sua mensa. Passare dai consigli comunali eletti dai cittadini al neo-podestà farà risparmiare lo 0,0001% della manovra correttiva decisa dal Governo. La perdita di democrazia rappresentativa alla base del tessuto sociale del Paese, vale così poco?
Il legislatore (Stato e Regione) ha comunque il compito di ricercare la maggior efficienza ed economicità del sistema delle autonomie locali, partendo però dalla corretta analisi dell'esistente e dalla valorizzazione di ciò che funziona.
La promozione dell'associazionismo tra Comuni, e più in generale la regia per la riorganizzazione del territorio, compete alle Regioni. Il Piemonte ha la ricchezza (non il problema!) dei suoi tanti Comuni. La Giunta Cota si è finora del tutto disinteressata di questo ambito. Non è un giudizio politico, ma una semplice constatazione. Evidentemente è più redditizio (politicamente, s'intende...) occuparsi di altro.


Un Segretario comunale - 2011-08-22
Buongiorno, Ho letto con molta attenzione ed interesse (anche per motivi professionali visto che sono un Segretario comunale di vecchia data e lavoro anche in Comuni con popolazione al sotto dei fatidici 1.000 abitanti) l'articolo e i contributi dei vari lettori. Condivido assolutamente che la eliminazione dei consigli comunali non porterà in nessun modo a risparmi sui costi della politica lo vedo piuttosto come propaganda politica per confondere i cittadini utilizzando lo slogan (tanto di moda) del "taglio delle poltrone", se si volessero veramente ridurre i costi della politica basterebbe eliminare uno dei tantissimi benefit dei parlamentari ed ex parlamentari. Detto ciò in ogni caso è comunque necessario ed urgente rivedere la normativa sui piccoli Comuni in quanto gli adempimenti a carico di questi ultimi non sono diversi e minori (se in non in piccolissima parte) degli adempimenti a carico dei medi e grandi Comuni... con una grande diffrenza però (TESTO INTERROTTO, SI PREGA L'AUTORE DI COMPLETARLO)
Luchino Antonella - 2011-08-22
Buongiorno, invece di eliminare i piccoli Comuni (pensiamo a quelli situati nelle zone montane con tutti i problemi che scaturiscono per la logistica, gli atti amministrativi, ecc ecc) perchè non si affronta veramente la lotta all'evasione fiscale, facendo pagare le tasse a chi non le ha mai pagate e/o le ha pagate in misura ridotta?! Qualcuno mi sa spiegare perchè? Grazie.
Paolo Biavati - 2011-08-19
L’eliminazione dei consigli comunali nei comuni con meno di mille abitanti, introducendo la figura del sindaco-podestà, è un fatto preoccupante e su cui non si sta ponendo sufficiente attenzione. Si sfrutta la deriva populistica che ha preso il dibattito sui costi della politica per introdurre norme pericolose per il nostro ordinamento democratico. Oggi tocca ai comuni con meno di mille abitanti e domani? La democrazia ha dei costi: un sistema dittatoriale da questo punto di vista è sicuramente più economico. Un nuovo disegno delle istituzioni che coniughi maggiore efficienza ed efficacia non può nascere da norme improvvisate che hanno l’unico scopo di sollevare cortine fumogene sul problema dei costi della politica e che mettono a rischio il sistema che garantisce rappresentanza democratica a tutti i livelli.
Leonello Mosole - 2011-08-19
Caro Alessandro, concordo con ciò che dici. Ritengo però che il tutto andrebbe approfondito. Mi ha stupito non poco il numero dei Comuni francesi: è pur vero che il loro territorio è il doppio del nostro ma girando per la Francia non hai l'impressione di tutta la frammentazione che c'è da noi. Quello che mi domando è: quanto costano ai francesi (costi amministrativi, non politici) 36.000 e passa Comuni e quanto costano agli italiani 8000 e passa Comuni? E così per le Province e così per le Regioni. Sarebbe cioè interessante sapere qual è il rapporto tra soldi amministrati (e soprattutto investiti) e costi generali (spese per il personale, per gli amministratori, costi generali, ecc.) dei vari livelli amministrativi (Regioni, Province, Comuni). Credo che il nodo stia qui e credo anche che non sia facile scioglierlo. Ricordo che (un bel po' di anni fa) in un grosso Comune piemontese di cui mi ero occupato per lavoro, esistevano l'ufficio metrico e l'ufficio emigrazione (in totale 2 responsabili e 4 impiegati). Si occupavano, rispettivamente, di bollare periodicamente bilance, metri e quant'altro, e di rapporti con gli stranieri, dato che si era intallata una grossa fabbrica estera sul suo territorio. Peccato che da anni le bilance fossero elettroniche e più nessuno comperasse stoffa a metri e che la fabbrica straniera avesse chiuso da tempo immemorabile. In quanto alle Regioni a Statuto Speciale concordo pienamente. Mi piacerebbe sapere quanto riceve (direttamente o indirettamente) dallo Stato un cittadino della Sicilia, della Val d'Aosta e soprattutto dell'Alto Adige e quanto ricevono in media quelli delle altre Regioni. Anche in questo caso però sarà molto dura cambiare. I risparmi si otterranno solamente creando efficienza nella P.A. Io finora non ne ho vista, nonostante tutto quanto si è speso per l'informatica, che è soltanto uno strumento: come utilizzare il Freccia Rossa sulla Chivasso-Aosta.