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La RAI nella tenaglia
 
di Giorgio Merlo
 

La scelta di Paolo Ruffini di lasciare la Direzione di RAI3 per accedere alla guida de La7 rimette nuovamente in discussione il futuro del servizio pubblico radiotelevisivo nel nostro Paese. La scelta di Ruffini è il frutto anche del pesante condizionamento subito in questi anni con la gestione dell’ex direttore generale Masi. Una scelta, però, quella di oggi, totalmente autonoma e libera che denuncia anche lo stato di difficoltà in cui versa attualmente l’azienda. Malgrado la netta discontinuità introdotta dal nuovo direttore generale Lorenza Lei, è indubbio che ci troviamo a un bivio: o la RAI riesce a recuperare uno spazio di mercato e di autorevolezza capaci di ritagliare uno spazio decisivo per il ruolo di un servizio pubblico nel campo radiotelevisivo oppure la prospettiva di una decadenza, seppur mitigata nel tempo, sarà sempre più irreversibile. Su questo versante si gioca la sfida dei prossimi mesi. Dalla programmazione dei palinsesti, alla garanzia di un autentico pluralismo, dalla qualità dei suoi programmi alla professionalità dei suoi artisti e lavoratori. Sono tanti gli ingredienti che contribuiscono a comporre il mosaico della RAI. I “santoni”, specie se milionari, non sono indispensabili ma la qualità della sua programmazione non può essere barattata con la insopportabile subalternità alla maggioranza politica di turno.
La stessa vicenda Ruffini lascia intravedere un doppio rischio che oggi può mettere al tappeto la RAI e che va denunciato e smontato. Da un lato si ripropone la volontà politica pervicace della destra berlusconiana di ridurre gran parte della RAI a un semplice strumento a disposizione della maggioranza politica. Sono troppi, purtroppo, gli esempi che si potrebbero fare. E lo dice una persona che non ha mai creduto ai “martiri” all’interno della RAI che si sacrificano, a suon di miliardi ieri e di milioni oggi, a garantire la libertà di informazione per tutti noi. Non siamo ridicoli: in RAI ci sono artisti e lavoratori che svolgono diligentemente la propria mansione, alcuni strapagati, e non ci sono né martiri né sfruttati. Ma è indubbio che in questi anni di berlusconismo, gli episodi che hanno costellato il servizio pubblico sono prevalentemente ascrivibili al radicale controllo politico e alla voglia di estromettere quelle voci che, più di altre, garantivano libertà di informazione, vero giornalismo di inchiesta, tutela del pluralismo e imparzialità stessa nella programmazione. E di fronte a questa situazione, che risponde al mai risolto “conflitto di interessi”, abbiamo il dovere di reagire con forza e determinazione lavorando affinché questa anomalia, tutta italiana, finisca al più presto.
Accanto a questo pesante condizionamento ce n’è un altro: il disegno di altri settori politici di rafforzare la concorrenza nei confronti della RAI, potenziando ad esempio La7 o Sky. Un disegno ovviamente legittimo, ma che non possiamo, almeno per onestà intellettuale, non denunciare. Un disegno che si sostanzia sempre con nobili principi e grandi convincimenti ma che poi si traduce, come vuole giustamente il mercato, in sontuosi contratti e voglia di competizione. E il rafforzamento di La7 e di Sky con l’ex personale RAI come si può spiegare se non con questa volontà di fare concorrenza al servizio pubblico?
Insomma, per opposti motivi e con finalità diverse, l’obiettivo resta però comune: la RAI va prima indebolita e poi ridimensionata. Un disegno politico che unisce due opposti ma che poi converge nell’obiettivo comune.
Si può assistere in silenzio a questo attacco a tenaglia? È sufficiente la denuncia o la difesa dei vari orticelli per nascondere una realtà che ormai è sotto gli occhi di tutti? Non credo, come non penso che i vertici aziendali possano limitarsi a parare il colpo. Serve una strategia d’urto capace di invertire la rotta e capace soprattutto di far capire, attraverso i palinsesti e i contenuti del progetto editoriale, che il servizio pubblico non è un optional o un mero ricordo del passato, ma un investimento concreto per continuare a produrre pluralismo, libertà e qualità dell’informazione. Senza questo servizio pubblico, insomma, si corre il serio rischio di consegnare un’informazione definitivamente addomesticata e legata a gruppi editoriali e finanziari che non hanno tra le loro priorità la difesa del pluralismo e della libertà di informazione.
Ma per raggiungere questi obiettivi occorre avere un progetto chiaro e la schiena dritta. La fase dei tentennamenti e delle non decisioni è finito. Ora servono coerenza e determinazione. Ecco perchè, a cominciare dalla programmazione autunnale e dalle scelte concrete legate alle nomine, capiremo se ci troviamo di fronte ad una svolta capace di battere i due opposti tentativi che puntano a liquidare la RAI oppure se, ancora una volta, viale Mazzini riuscirà a superare gli scogli per far sì che la RAI continui ad essere la più grande azienda culturale del Paese, dove convivono tranquillamente pluralismo e qualità, competenza e serietà. Saranno mesi decisivi dove capiremo anche se vale ancora la pena continuare a pagare il canone.

Della rubrica “MiglioreRAI”