I sondaggi hanno registrato il netto sorpasso del PD (salito a quasi il 30% dei consensi) sul PDL (sceso sotto il 27%), e prevedono che le opposizioni – se sapranno presentarsi unite – conquisteranno la maggioranza dei seggi in entrambi i rami del Parlamento. Berlusconi ha ormai imboccato il viale del tramonto, e con lui tramonterà il bipolarismo all’italiana. Tuttavia la verifica di maggioranza, che il presidente Napolitano ha considerato politicamente necessaria, si è conclusa senza un voto, poiché stiamo vivendo una profonda contraddizione: Berlusconi ha perso il consenso degli elettori ma il governo conserva la maggioranza in Parlamento. E così dalle ceneri del berlusconismo è nato un “governo balneare” che dovrebbe affrontare la questione della riduzione del debito pubblico e dibattere riforme capaci di impegnare il Parlamento fino alla scadenza della legislatura.
Ma quanto può reggere un governo che non ha il consenso popolare e che si regge su una maggioranza sempre più divisa? La Lega – sempre più “partito di lotta” – resta seduta sulla sponda del fiume, in attesa che “il governo passi dalle parole ai fatti”, e per tenere unito il suo partito, Bossi minaccia l’espulsione dei dissidenti. In questa situazione, per ridarsi una prospettiva, in occasione del dibattito parlamentare Berlusconi ha fatto propria la riflessione che era stata sviluppata, con toni molto critici verso il PD, dopo il fallimento della “spallata” di dicembre da alcuni media tradizionalmente schierati a favore della sinistra (vedi “L’Espresso”): la destra resterà al governo, anche se è iniziato il declino del berlusconismo, fino a quando la sinistra non avrà organizzato una vera alternativa, e il PD non si sarà dato un leader.
In realtà dopo le amministrative e i referendum “il vento ha cambiato direzione”. E tuttavia la politica attende ancora una risposta definitiva, anche perchè i sondaggi rivelano che quasi il 40 per cento degli elettori non ha ancora deciso da quale parte stare. E alcuni politologi hanno interpretato il successo della sfida referendaria, più da attribuire al “movimentismo” che all’azione dei partiti dell’opposizione. Nelle ultime settimane si è rafforzata la leadership di Bersani, ma non si può ignorare che nel corso del dibattito parlamentare, Di Pietro ha cambiato il tono dei suoi discorsi ed è stato particolarmente aspro nei confronti del PD . Anche “Europa”, il quotidiano dei democratici, ha riconosciuto che per il PD “il difficile viene ora”. Quando pone il problema dei rapporti con il PD, Di Pietro è irritante, anche più di Vendola; e tuttavia è vero che se l’obiettivo cui guardare è la sfida elettorale, alcune scelte – che riguardano il programma e le alleanze – non possono essere rinviate. Ed è vero che anche i democratici, su questioni di grande importanza, sono divisi: alcuni hanno proposto di sciogliere il nodo del sistema elettorale con un referendum popolare che dovrebbe seppellire il “porcellum”; altri temono che questa via riporti alla proporzionale, cioè faccia compiere alla vita democratica un grande salto nel passato.
È sempre più evidente che entrambi gli schieramenti, centrodestra e centrosinistra, stanno attraversando una fase di crescenti tensioni. Il Paese non è mai stato così diviso, mai la democrazia è stata così a rischio. Mentre PD e PDL cercano di consolidare la loro vocazione maggioritaria, gli altri partiti delle opposte coalizioni rivendicano un ruolo decisivo, a destra come a sinistra, quasi in competizione con il ruolo che per sé rivendica il Terzo polo, che di fatto è costruito attorno a Casini. Nelle dichiarazioni di Vendola, che pensa al partito unico della sinistra, è evidente la contestazione dell’egemonia del PD, che si propone come perno riformista dell’alternativa a Berlusconi; ma anche la svolta moderata di Di Pietro appare in polemica con la strategia proposta dai democratici, in questo caso accusata di essere troppo cedevole alla sinistra. E sul versante opposto è anche più evidente il disagio di Bossi, che per assecondare la platea di Pontida è indotto a riscoprire la “secessione” e a inasprire la polemica con il Sud, entrando così in rotta di collisione con la maggioranza meridionalista del PDL. D’altra parte anche il Popolo delle libertà è attraversato, al suo interno, da tensioni che evidenziano un fatto: è iniziata la corsa alla successione, alla nuova leadership della destra. La stessa polemica contro Tremonti e contro la politica del rigore, esplosa in questi giorni, nella fase di elaborazione della “manovra”, è comprensibile solo all’interno di questa logica. E l’intesa raggiunta nelle ultime ore, deve ancora superare la verifica del Parlamento.
Queste tensioni dimostrano la fragilità del bipolarismo all’italiana e inducono a mettere ai primi posti nell’agenda politica dell’autunno, la questione della la riforma elettorale. La rinascita della vita democratica richiede la rinascita del pluralismo: il paese deve uscire dalla gabbia imposta da un sistema bipolare che ha alimentato il trasformismo, la radicalizzazione della lotta politica, il populismo. Ma c’è spazio per questa svolta culturale, per questo recupero dei valori? La vicenda Bisignani ha riacceso lo scontro sul tema della giustizia. Così, mentre per l’Europa si aggira il fantasma della crisi della Grecia, mentre Napoli affonda nei rifiuti e in Val di Susa si fanno più aspri gli scontri tra No-Tav e polizia, non è difficile prevedere che “sotto l’ombrellone”, al mare o in montagna, gli italiani si appassioneranno alle oscure vicende della P4. E crescerà la tendenza a sospettare della democrazia politica come radice della società civile.
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