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RAI, la P4 la può uccidere
 
di Giorgio Merlo
 

Le vicende che ruotano attorno alla cosiddetta P4 sono inquietanti anche se vanno opportunamente approfondite. È troppo presto per esprimere un giudizio, anche approssimativo, su come si incanalerà l’inchiesta giudiziaria. Ossia, se ci troviamo di fronte all’ennesimo polverone che puntualmente si sgonfia dopo poche settimane oppure se i capi d’accusa dimostreranno l’esistenza di una pericolosa e imbarazzante associazione a delinquere. Vedremo. Nel frattempo, però, non possiamo non evidenziare che la più grande azienda culturale del Paese, cioè la RAI, ancora una volta è esposta al pubblico ludibrio e conferma, al di là dei potenziali reati, un malcostume che da troppo tempo caratterizza la prassi e l’andazzo del servizio pubblico radiotelevisivo. E qui non si parla ancora della “qualità” della sua programmazione, dei palinsesti, della presenza o meno dei vari talk show di approfondimento politico e giornalistico e dei contratti – purtroppo sempre più dorati e milionari – dei vari artisti. No, qui si parla della interferenza indebita e della commistione tra personaggi del tutto estranei all’azienda e sempre più interessati a condizionare il funzionamento dell’azienda, a “cacciare” persone sgradite alla maggioranza di turno e, addirittura, a scandire le priorità che devono caratterizzare il servizio pubblico radiotelevisivo. Al di là di ogni giudizio moralistico e di ogni istinto giustizialista, è semplicemente riprovevole, nonché squallido, assistere a questo spettacolo. Uno scenario che richiede una immediata e decisa inversione di rotta dei vertici aziendali e una “ripulitura” dell’immagine dell’azienda di viale Mazzini.
Il nuovo direttore generale Lorenza Lei e il presidente Paolo Garimberti sono indubbiamente persone di qualità che hanno, però, adesso un compito preciso: restituire la RAI alla sua antica credibilità e ripristinare un meccanismo decisionale riconducibile esclusivamente al suo gruppo dirigente. Operazione impossibile? Credo di no perché dipende in gran parte dalla capacità del vertice aziendale di assicurare trasparenza nelle scelte, autorevolezza decisionale e valorizzazione dei talenti presenti. Del resto, dopo aver toccato il fondo non possiamo che risalire la china. Certo, ci sono enormi responsabilità della politica, e soprattutto di questo centrodestra, nel voler normalizzare la RAI e piegarla ai voleri e ai desideri dei suoi maggiori protagonisti. Ma, al contempo, c’è stata anche un eccessivo addomesticamento dei dirigenti RAI che non hanno saputo, o voluto, opporsi a questo disegno egemonico ed arrogante.
E quindi, per invertire la rotta dando segnali concreti di risalita e di trasparenza, vanno adottate scelte immediate e senza indugi. A cominciare dal rinnovo dei contratti ad artisti e giornalisti che hanno saputo portare ascolti e introiti pubblicitari all’azienda con trasmissioni da servizio pubblico che non hanno sconfinato nella propaganda becera o nel disprezzo delle regole aziendali e costituzionali. Penso, per restare all’attualità, a Report e alla necessità di garantire adeguata tutela legale a una trasmissione – tra le poche se non l’unica – a praticare ancora un vero giornalismo di inchiesta. La conferma delle trasmissioni e il rinnovo dei relativi contratti ai professionisti è la precondizione per garantire autonomia nelle scelte e discrezionalità decisionale.
In secondo luogo tutte le scelte vanno improntate al successo aziendale. E su questo versante il profilo fortemente aziendale del nuovo Direttore Generale non può che essere un elemento positivo e incoraggiante. Certo, se le scelte sono funzionali ad obiettivi esterni all’azienda – come pare emergere dall’inchiesta legata alla P4 – è francamente difficile continuare a difendere le ragioni aziendali. Sia che si parli di qualità della sua programmazione sia che si parli di introiti pubblicitari o di risorse economiche. E su questo versante non si fanno sconti a nessuno. Neanche all’attuale vertice di viale Mazzini. Saranno solo ed esclusivamente le scelte concrete in materia di palinsesti, di programmi, di contratti e di rinnovi a dirci se siamo ancora in un regime di sostanziale dipendenza dall’esterno e da centri di potere più o meno occulti oppure se il vertice si muove in piena libertà a difesa esclusiva degli interessi dell’azienda stessa.
E poi la politica faccia il suo mestiere. Certo, sarebbe ed è necessaria una riforma della governance dell’azienda dopo i pessimi risultati prodotti dalla legge Gasparri. Ma su questo versante il centrodestra continua ad essere inspiegabilmente e misteriosamente sordo e indifferente. Non è compito della politica, tantomeno dei centri più o meno occulti, dettare i palinsesti e condizionare la programmazione della RAI. Il Parlamento ha già gli strumenti per controllare, vigilare e dettare gli orientamenti politici e legislativi entro i quali si deve muovere la produzione di un credibile e trasparente servizio pubblico radiotelevisivo. C’è, invece, il nodo del canone. E qui delle tre l’una: o il Governo adotta misure precise e specifiche per battere la grave e non sopportabile evasione del canone; o lo si aggancia alla bolletta elettrica oppure si decide una misura legislativa per alzare il tetto della raccolta pubblicitaria per il servizio pubblico. Senza una di queste misure la crisi finanziaria dell’azienda rischia di diventare irreversibile.
Comunque sia, adesso si deve invertire la rotta. In fretta e definitivamente. Perché l’evasione del canone rischia di ricevere una forte spinta non per le motivazioni ridicole e grottesche addotte più volte dal Presidente del Consiglio – e cioè troppi programmi “sgraditi” al Premier perché “di parte” – ma per lo stato melmoso che emerge dall’inchiesta napoletana e che svela una serie di intrecci e di vicende che azzoppano e sfregiano la credibilità e il prestigio della RAI. Si cambi in fretta e si cambi subito. È a rischio non solo la credibilità del servizio pubblico radiotelevisivo ma anche e soprattutto il profilo e la qualità della nostra democrazia.

Della rubrica "MiglioreRAI"