Erano partiti baldanzosi dalle loro vallate al grido di “Roma ladrona, la Lega non perdona!”. Pensavano di conquistare la capitale e convertirla all’efficienza padana, tagliando con lo spadone di Alberto di Giussano – brandito come neanche Sandokan potrebbe fare nell’intricata giungla del Borneo – sprechi e leggi inutili. Poco hanno fatto e molto si sono impantanati nelle secche del potere romano. Hanno tenuto botta a Berlusconi su tutte le leggi ad personam, non hanno battuto ciglio ogni volta che emergevano gli sporchi affari di qualche cricca targata PDL, hanno ignorato il raddoppio dei dipendenti di Palazzo Chigi sotto il sultanato di Arcore e le sfacciate parentopoli romane. Memorabile la foto di Bossi imboccato dalla Polverini... Se non fosse per i successi che Maroni può vantare nella cattura dei latitanti (lasciamo perdere il capitolo immigrazione) sarebbe notte fonda.
“Se non riusciamo a convertire la lontana Roma, allora trasferiamo i centri del potere nella Padania!” hanno pensato le teste geniali di Ponte di Legno. “Vogliamo almeno due Ministeri importanti a Milano” hanno tuonato anche per raccattare un po’ di tardivo consenso alla sciura Moratti: la richiesta si è sgonfiata come un soufflé, bersagliata dagli alleati del PDL e ridimensionata prima a due sedi distaccate, poi a due dipartimenti, infine a uffici di rappresentanza dei ministeri di Bossi e Calderoli. Cioè delle Riforme per il Federalismo e della Semplificazione normativa. Del mitico “Ministero enorme dove si fa l’economia”, evocato da Bossi stesso, nessuna traccia. E in coda a cotanto fiasco parte ora nientepopodimeno che la raccolta firme per una proposta di legge popolare, come solo Scilipoti potrebbe fare a sostegno dell'agopuntura.
Di fronte a simili interpretazioni alla Totò e Peppino, ci stupiamo ancora se la Lega, prevista in crescita da tanti soloni, ha perso alle amministrative una barcata di consensi?
Della rubrica FARDELLI D'ITALIA |