Ho promesso al direttore Risso che farò il bravo e conterrò in limiti accettabili quello che Foscolo definì “lo spirto guerrier ch’entro mi rugge”. Per esprimere un’opinione sul voto dei cattolici torinesi userò quindi i numeri, che sono asettici ma più eloquenti di tante parole. Guardiamo al risultato dell’UDC in città: alle elezioni politiche del 2008 sono stati 23.645 i voti per lo scudo crociato di Casini; nel 2009, alle provinciali, erano scesi a 15.290, pur essendoci Michele Vietti in persona candidato presidente; lo scorso anno alle regionali i voti sotto la Mole si sono ridotti a 11.346. Ed ora, alle comunali che hanno incoronato Fassino sindaco, i voti alla lista UDC (in teoria rinforzata dal fresco arrivo di Calgaro e Borgione) in appoggio al candidato sindaco Musy sono ancora diminuiti a 9.659. Nel cosiddetto “terzo polo” volano gli stracci, e lo stato maggiore UDC, il segretario regionale Goffi in testa, viene addirittura accusato di aver favorito il voto disgiunto, lasciando Musy al suo destino pur di portare più consensi al partito. Con il “brillante” risultato di cui sopra, che ha portato un unico eletto, la Scanderebech figlia, oltre al candidato sindaco. Presenza di ispirazione cattolica zero.
Su questo sito ci si macera continuamente per le difficoltà che i cattolici riformisti incontrano nel PD, compressi dalle tentazioni egemoniche DS e da spinte laiciste. Problemi anche veri, ma alla fin dei conti si scopre che un terzo degli eletti in consiglio comunale sono Popolari. Se riteniamo debole la scelta strategica del Partito democratico, cosa diavolo si deve pensare dei cattolici terzopolisti o dei clerico-berlusconiani?
Della Rubrica FARDELLI D’ITALIA
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