Ottimo il risultato a Torino, come a Milano, come a Napoli, come a Bologna. Insomma, ottimo il risultato del centrosinistra e del PD in tutta Italia. Con alti e bassi, com’è ovvio. Ma, all’interno di questa ubriacatura, a noi piace scoprire un lato debole. Che non è il lato B della vittoria elettorale. E mi riferisco al PD e alla sua capacità di essere diventato il partito “centrale” – o “centrista” – della coalizione di centrosinistra. Ma nel partito, i cosiddetti Popolari continueranno a marciare divisi “per colpire uniti”? A occhio pare di sì. La raccolta delle preferenze a Torino, la riuscita di alcuni sindaci Popolari nella provincia di Torino e ruoli importanti ricoperti nel partito parrebbero confermare la bontà di quella scelta. Noi né la contestiamo né la condividiamo. Ci limitiamo a una sola osservazione concreta. Il PD è un partito “plurale”. E anche le varie anime al suo interno sono diventate plurali. A cominciare dai Popolari. Non a caso, ci sono i Popolari di fede mariniana, di osservanza fioroniana, di estrazione lettiana, di orientamento bindiano, di rito franceschiniano, di amicizia bersaniana e di simpatia veltroniana. Certo, tutti sono Democratici, ma con qualche sfumatura. Ah, dimenticavo. Ci sono anche i giovani Popolari – e altri giovani che sono ancora più giovani di questi, e via discorrendo – che, giustamente, invocano posti e ruoli istituzionali in sostituzione dei meno giovani.
Che cosa voglio dire con questa predica? Semplice. Per motivazioni varie, e del tutto rispettabili e comprensibili, sarà difficile ricomporre anche l’area Popolare. Almeno per i contemporanei. Per i posteri ci penserà la Provvidenza.
Della rubrica FARDELLI D’ITALIA
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