Per la RAI adesso serve una svolta. Ma una svolta vera, autentica. Non solo quella che viene declamata puntualmente alla vigilia della nomina di un Direttore Generale. Troppe scelte, troppi atti, troppe reticenze in questi anni hanno bloccato, di fatto, l’azione della RAI e tutto ciò che questa azienda rappresenta nel nostro Paese. Su questo versante è bene sottolineare, ancora una volta, che la RAI continua a primeggiare negli ascolti sia in prima che in seconda serata e, soprattutto, resta l’ultimo baluardo capace di garantire un solido e credibile servizio pubblico nel nostro Paese. Servizio pubblico che significa sostanzialmente la garanzia di avere un vero pluralismo. Politico, sociale, culturale e religioso.
Ma in questi anni proprio questa “specificità” ha rischiato di appannarsi. Ora, non rientro tra coloro che si sentono realizzati e soddisfatti dal servizio pubblico solo se i propri rispettivi beniamini politici sono garantiti e salvaguardati attraverso i vari talk show e i programmi di approfondimento. E accompagnati, come da copione, dai giganteschi compensi che percepiscono. Credo invece che il servizio pubblico risponde appieno alla sua missione solo se riesce a declinare, con rigore e serietà, la domanda di qualità, di imparzialità e di pluralismo che il cittadino che paga regolarmente il canone richiede quotidianamente. E per c’entrare questi obiettivi oggi nel nostro paese la RAI serve. A prescindere dalla crescente offerta multimediale e dall’impazzimento della rete web che è utile ma radicalmente avulso dalla garanzia di avere uno strumento democratico di conoscenza e di approfondimento.
Ma per rispondere adeguatamente a questi obiettivi serve, altresì, una dirigenza autorevole, credibile e capace di svolgere questo delicato ruolo senza farsi condizionare pesantemente dalla politica e dai rispettivi schieramenti. Il limite delle ultime gestioni della RAI è racchiusa in questa difficoltà: e cioè, nella diretta dipendenza dalla politica e dalle inevitabili contraddizioni che essa trascina con sé. Ed è inutile, su questo versante, ricercare dei modelli. Dopo la stagione di Agnes e di Pasquarelli – per fermarsi agli anni ’80 e ’90 – si sono susseguite dirigenze che, al di là delle loro indubbie capacità professionali e manageriali, si sono sempre contraddistinte per la sostanziale subalternità e sudditanza alla politica di governo di turno. Non a quella nobile, ma alla politica di schieramento e di rigorosa appartenenza. Sarebbe francamente difficile individuare delle “anomalie” su questo versante, perché i vari Presidenti e Direttori generali si sono contraddistinti più per la rigorosa dipendenza dalla politica che non per la loro originalità manageriale. Al punto di non stupirsi affatto che alcuni di loro sono diventati deputati o ministri il giorno dopo. Erano già militanti politici prima e lo sono stati anche durante.
Ma in questi ultimi due anni questa degenerazione si è ulteriormente accentuata. Abbiamo assistito, infatti, ad un tentativo di “normalizzazione” che ha nuociuto alla RAI nella sua complessità. Tentativi che, oltretutto, non hanno rilanciato la credibilità e l’imparzialità dell’azienda di servizio pubblico. Al punto che molti organismi di categoria e di rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda hanno chiesto le dimissioni del Direttore generale uscente. Certo, il tutto è stato fortemente peggiorato dalla legge Gasparri e dalla non volontà della destra di correggerla in Parlamento in questi anni, malgrado le svariate proposte depositate in Parlamento. Una legge che ha ingessato l’azienda; che l’ha resa organicamente legata alla politica e che ha trasformato lo stesso organo di governo in una sorta di “parlamentino” dove si confrontano tesi politiche e di schieramento del tutto avulse da ogni logica aziendale. Ma la destra, su questo versante, dimostra una testardaggine politica immotivata e nociva per la stessa credibilità dell’azienda. E più si ritarda su questo terreno e più si corre il serio rischio di politicizzare ad oltranza l’azienda con pesanti ricadute proprio sul versante dell’offerta e della qualità della sua stessa programmazione.
Ora, l’arrivo di Lorenza Lei alla Direzione generale può essere un elemento positivo e di reale speranza per il rilancio dell’immagine della RAI. Una credibilità, la sua, che affonda le sue radici all’interno dell’azienda oltre a rappresentare quella “competenza” e quella “rappresentatività” che è richiesta al primo dirigente della RAI. Finalmente si può aprire una nuova pagina per il servizio pubblico radiotelevisivo. E si può aprire, soprattutto, una nuova fase anche nel rapporto con la politica, malgrado una pessima legge continui a disciplinare il capitolo delle nomine dei suoi dirigenti. Ma il servizio pubblico è troppo importante per lasciarlo al suo destino. E un Direttore generale di livello può, al momento, essere un elemento che comunque contribuisce a rasserenare un’azienda troppo surriscaldata dalla superficialità e dall’approssimazione di chi l’ha guidata sino ad oggi.
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