Stampa questo articolo
 
L’Europa rischia il naufragio contro gli scogli del populismo
 
di Guido Bodrato
 

A conclusione della lectio magistralis che ha inaugurato la Biennale Democrazia, dopo essersi soffermato sulla lezione che la crisi dell’economica globalizzata ha dato a una politica ancorata alla dimensione nazionale, Mario Draghi ha concluso l’analisi sulla crisi che minaccia anche l’Italia con un breve riferimento all’Europa. L’Unione europea deve essere considerata “un punto di riferimento nel mondo per come ha saputo sviluppare una forma originale di governo, fondata sugli Stati sovrani ma dotata di strutture sopranazionali volte alla soluzione di problemi comuni”, ma è comunque vero che “i successi dell’Ue si accompagnano con tensioni fra gli Stati e fra questi e le istituzioni comunitarie”. Tuttavia secondo il Governatore della Banca d’Italia, anche per gli italiani “l’Unione europea è la condizione essenziale per progredire ancora”. Fuori dall’UE, in un mondo dominato dalla Cina, dall’India, dalla Russia e dal Brasile, l’Italia non conterebbe nulla, e meno di nulla conterebbe la Padania.

L’euroscetticismo allontana l’idea della solidarietà
La riflessione di Draghi contiene una risposta sia alla polemica leghista contro un’Europa, accusata di restare sorda agli appelli dell’Italia sulla questione dei flussi migratori dal Sud del mondo che da Lampedusa vorrebbero risalire alla Francia e ad altri paesi del Nord, sia all’assurda minaccia – fatta da Maroni ma anche da Berlusconi – di uscire dall’Unione, poiché per l’Italia sarebbe “meglio restare sola che male accompagnata”. Che in Europa stia declinando la solidarietà, e si stia diffondendo un rigurgito nazionalistico, lo hanno sottolineato – con preoccupazione – anche esponenti della gerarchia ecclesiastica tedesca e francese, riferendosi ai governi di Berlino e di Parigi. E lo ha ribadito il cardinal Bertone con riferimento a un’emergenza migratoria che potrebbe trasformarsi in un’ondata dalle dimensioni imprevedibili. Tuttavia questa critica non può essere avanzata da partiti che si sono sempre schierati dalla parte degli euroscettici e da un governo che ha contrastato ogni politica in direzione dell’integrazione sociale, economica e politica del “vecchio continente”. Chi ha condiviso la posizione dei conservatori britannici e dei movimenti xenofobi, presenti in numerosi Paesi dell’Unione, non è credibile quando si appella alla solidarietà dell’UE. Il populismo che si è rafforzato anche nei paesi dell’Europa del nord, da ultimo in Finlandia, e che in Italia si esprime nella Lega, non ha nulla da spartire con l’europeismo dei padri della Comunità europea (Adenauer, DeGasperi e Schuman) con i valori cui si sono ispirati Delors e Khol, e neppure con le scelte che hanno prima portato al mercato unico e poi, con Ciampi e Prodi, all’euro. Ma un’Europa politica, specie nel tempo della globalizzazione, richiede un’anima, richiede radici cui fare riferimento nei momenti delle difficoltà; deve darsi una missione che la spinga a guardare lontano; non può essere fondata solo sugli interessi.

L’Unione europea ha prodotto sicurezza, democrazia e sviluppo
Dobbiamo allora chiederci perché negli ultimi anni la tensioni fra gli Stati, e soprattutto quelle degli Stati con le istituzioni comunitarie (Commissione europea e Parlamento europeo), si siano accentuate; dobbiamo chiederci perché la Francia e l’Olanda, paesi fondatori della Comunità europea, abbiano bocciato con un referendum la carta costituzionale (mettendo insieme l’ostilità delle destre e quella delle sinistre); e perché la nuova carta, ratificata a Lisbona, abbia segnato uno spostamento del potere dalle istituzioni comunitarie al vertice dei governi, depositari della sovranità – ma anche dell’egoismo – degli stati nazionali. Le tensioni non riguardano solo la politica economica, che continua a incontrare ostacoli “in ragione della diversità degli interessi nazionali”, ma anche i vincoli imposti ai bilanci pubblici dal trattato di Maastricht, e che – dopo l’allargamento dell’Unione ai paesi dell’Europa orientale – riguardano i movimenti delle popolazione all’interno dell’Unione, e in particolare i flussi migratori dall’est e dal sud del mondo verso l’area dell’euro. In questa fase della storia, la geografia e la demografia decidono, più di ogni altra cosa, il destino dei popoli. E anche per questa ragione, come ha ricordato Romano Prodi, sarebbe un errore storico uscire dall’Unione europea, come proclama la demagogia dei populisti.
Quali sono le questioni che spiegano questo progressivo declinare dell’entusiasmo per il sogno europeo? La “Piccola Europa” di Germania, Francia, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo, negli anni ’50 si proponeva di lasciarsi alle spalle un secolo di guerre nazionaliste; ma anche di fronteggiare la minaccia sovietica. Si è allora parlato, con la NATO, di “pace nella sicurezza”. Quest’idea di una Comunità impegnata a garantire la pace e a favorire la crescita economica, ha conquistato negli anni ’60 anche i Paesi del Nord Europa che l’avevano contrastata: la Gran Bretagna, la Danimarca, la Svezia. Tuttavia non tutta quell’Europa ha superato la prova della moneta unica, e la presenza della Gran Bretagna nelle istituzioni dell’UE ha frenato il cammino “politico” verso una unione più solidale e capace di decidere nel campo della politica estera e di difesa.. La forza dell’idea federalista ha comunque favorito l’affermazione della “democrazia” nella Spagna franchista, nel Portogallo salazariano e nella Grecia dei colonnelli, e quindi (negli anni ’70) l’adesione di questi paesi all’Europa “dei quindici”.

Dopo il crollo del Muro di Berlino…
Con la rivoluzione democratica dell’89 e la caduta del Muro di Berlino, era ineluttabile l’ampliamento dell’Unione ai Paesi dell’ex Patto di Varsavia. In realtà alcuni di questi Paesi hanno aderito alla NATO prima che all’UE. Ed è stato un errore, in quell’occasione (1999/2000) accelerare sull’allargamento, frenando sull’approvazione della costituzione europea. Dare una costituzione all’Europa “unita nella diversità” avrebbe dovuto significare un rafforzamento del ruolo della Commissione e del Parlamento), dare cioè più potere alle istituzioni comunitarie nei confronti dei governi nazionali. La tensione che sin dalle origini ha messo a confronto l’Europa dei “popoli”, e l’Europa delle “patrie” (cui pensava De Gaulle), ha avuto a Lisbona una torsione a favore del modello gollista, adottato dagli euroscettici. E questo fatto dice quanto sia difficile il cammino verso l’Europa “politica”.
Questa svolta della politica europea, che può apparire per qualche aspetto inevitabile, si è accompagnata al declino delle “grandi famiglie politiche europee” (democristiane e socialdemocratiche) che avevano sostenuto il cammino verso le istituzioni comunitarie, nel corso di quella che è stata la più importante rivoluzione degli ultimi due secoli. Negli ultimi anni i socialisti europei si sono arresi al liberismo anglosassone che è apparso “senza alternative”, anche se il mercato “senza regole” ha svelato le sue contraddizioni con la crisi dell’economia globale del 2009; e i partiti popolari di radice cristiano democratica sono scivolati verso destra, sotto la spinta dei movimenti nazionalisti prevalenti all’est. Il populismo è l’erede dei regimi comunisti. Non dobbiamo dimenticare che l’Europa non è stata solo la patria della democrazia: l’Europa è stata anche la culla di esperienze totalitarie, di “demoni” che potrebbero riprendere forza dalla crisi della democrazia, come dimostrano le insorgenze populiste, cioè dall’indebolirsi della passione democratica e dei valori di libertà e di giustizia cui le “famiglie democratiche europee” hanno fatto riferimento quando la resistenza al nazifascismo era, per gli europei, un imperativo morale.


Dino Ambrosio - 2011-04-23
Ma non sarebbe il caso che l’Italia cogliesse l’occasione eccezionale di essere, per la sua dislocazione, al centro del problema migrazione per prendere l’iniziativa invece che di respingere i migranti di coordinare gli interventi europei rivolti ad aiutare questi popoli in un momento così drammatico ? Certo che detto così viene voglia di rispondere che non è una cosa facile. Ma se l’Europa è in crisi per la mancanza di motivazioni dello stare insieme, la mancanza di obiettivi, di missione ecco il motivo, ecco la ragione che dovrebbe spingere a lavorare insieme per non solo risolvere i problemi del Nord Africa ma anche e forse soprattutto quelli di un’ Europa che, se vuole continuare a vivere in pace non può tenere la testa sotto la sabbia. Gli Stati Uniti d’America nel dopoguerra non hanno forse ragionato in questi termini quando ci hanno proposto il piano Marshall? Il Nord Africa non ha forse proprio ciò che ci manca e la mano tesa in un momento come questo non potrebbe essere la dimostrazione più evidente della nostra buona volontà di convivere in Pace con tutti. E’ vero che proprio ora noi abbiamo tanti problemi, poche risorse, la mancanza di lavoro e via di seguito. E vero che la crisi scatena le paure che rafforzano le destre estreme, ma dovrebbe essere lo slancio ideale di tutti gli uomini di buona volontà, da qualunque radice ideologica provengano, a capire che questo empasse non può risolversi perseguendo soltanto la coltivazione e la difesa ad oltranza del proprio orticello.