Il PD ha deciso di scendere in piazza. Forse non in modo permanente, ma comunque con frequenza e senza titubanze. Certo, è ovvio che un grande partito popolare e di massa scenda in piazza. Ci mancherebbe. Non essendo un partito di plastica, né eterodiretto da un tribuno televisivo né, soprattutto, di stampo padronale, è scontato che si è credibili se si esercita sino in fondo un ruolo di collegamento costante tra le istituzioni e le pulsioni che attraversano la società. E fin qui è tutto normale e persino scontato. Altra cosa, invece, è trasformare il PD in un banale prolungamento del popolo viola, dei settori più agitati del dipietrismo e di tutti coloro che confondono la dialettica politica, anche aspra, con la violenza verbale; il confronto democratico con la rissa permanente o con atteggiamenti squadristici. Lo so che nel PD queste pulsioni sono largamente minoritarie e la voglia di criminalizzare l’avversario politico sono presenti ma non prevalenti.
Tuttavia, credo sia importante sottolineare almeno due aspetti che dovrebbero caratterizzare il comportamento e l’iniziativa politica del Partito Democratico.
Innanzitutto un partito perno dell’opposizione come il PD ha il dovere di costruire un’alternativa politica credibile al decadente centrodestra berlusconiano. La coalizione è credibile se riesce a dispiegare un’autentica cultura di governo.
La fase politica che stiamo vivendo è indubbiamente confusa e carica di incognite. Compito di un partito che non vuole aderire al teatrino quotidiano delle vicende berlusconiane, è anche quello di dar vita ad un’alleanza che riesca da un lato ad intercettare la domanda di cambiamento che emerge in modo anche disordinato ma forte della società e, dall’altro, a garantire quella stabilità e quella “normalità” che ormai da troppo tempo è assente nella politica italiana.
In secondo luogo il “ritorno alla piazza” del PD non può e non deve essere confuso con la rincorsa dei settori più oltranzisti, se non violenti, della politica antagonista e radicale della sinistra e del giustizialismo nostrani.
Per fortuna Bersani è immune da questa deriva e non facilmente addomesticabile ai veti e alle modalità del giustizialismo forcaiolo del nostro Paese.
Non credo che giovi alla causa del PD, al buon governo e al ritorno di una politica non funzionale ai soli interessi personali, l’inseguimento della violenza verbale del dipietrismo militante. Non credo che il ritorno sulla scena politica dei vari Ferrero, Diliberto, Ferrando – in attesa dei Turigliatto e dei Pecoraro – sia salutato come una ventata di rinnovamento e di reale cambiamento. Da sempre nella politica italiana l’estremismo e il massimalismo sono componenti largamente minoritarie. Un tempo si sintetizzavano con lo slogan “piazze piene e urne vuote”. Oggi quella tentazione ritorna sotto altre sembianze ma la finalità è la stessa: e cioè, radicalizzare lo scontro politico, caricare di insulti l’avversario e candidarsi come alternativa violenta alla maggioranza di turno.
Compito del PD, quindi, non è quello di assecondare quella deriva ma, al contrario, ridare speranza alla richiesta di cambiamento della società italiana senza scivolamenti. È un compito difficile ma non affatto impossibile. Si tratta, semplicemente, di saper governare questa fase convulsa con intelligenza, moderazione, responsabilità e, soprattutto, senso delle istituzioni. Il resto appartiene alla goliardia e al puro movimentismo, storicamente estranei ai partiti di governo. Anche quando si trovano momentaneamente all’opposizione.
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