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Rai: è in gioco la democrazia
 
di Giorgio Merlo
 

Ci sono due appuntamenti in Commissione di Vigilanza che sono decisivi per capire se il centrodestra persegue l’obiettivo di normalizzare definitivamente la Rai o se, invece, coltiva la finalità di salvaguardare il postulato essenziale di un fisiologico e credibile servizio pubblico, e cioè il pluralismo: la delibera che disciplina la prossima campagna elettorale per le elezioni amministrative e l’atto di indirizzo sul pluralismo.
Due documenti su cui pesa la volontà della destra di ridurre le voci che non coincidono con i desideri dell’attuale maggioranza per trasformare la Rai in un banale prolungamento delle reti Mediaset. È appena il caso di ricordare che attorno al tema del pluralismo, del suo rispetto e della sua declinazione concreta nella società contemporanea, sarebbe realmente auspicabile una forte e consapevole convergenza parlamentare, pena la volontà di qualcuno di procedere con colpi di mano e con la deliberata finalità di cambiare il profilo della stessa informazione democratica nel nostro Paese.
Ora, senza entrare nei dettagli dei due documenti, è sufficiente soffermarsi su tre aspetti per rendersi conto che senza un sussulto di responsabilità del centrodestra si corre il serio rischio che il tutto si riduca a un’operazione vendicativa e rancorosa nei confronti delle voci “scomode”. A cominciare proprio dal regolamento che la Commissione di Vigilanza si appresta a discutere per disciplinare l’informazione per le ormai imminenti elezioni amministrative.
1) Innanzitutto il destino degli ormai noti talk show. Vanno eliminati o no in campagna elettorale? Con un blitz della maggioranza, su proposta del radicale Beltrandi, nelle scorse elezioni regionali del 2010 i programmi di approfondimento – da Santoro a Floris, da Vespa a Gabanelli – furono giudicati equiparabili alle tribune elettorali e furono pertanto sospesi dalla Rai durante l’intera campagna elettorale. Tesi peraltro respinta dal TAR del Lazio che ha stabilito che i programmi di informazione non possono essere equiparati alle tribune elettorali. E se la Commissione di Vigilanza, per volontà del centrodestra, varasse di nuovo un regolamento del genere bisognerebbe dare per scontato un ricorso da parte della Rai o di chiunque ne abbia il diritto. Ricorso che porterebbe immediatamente all’annullamento del regolamento stesso. È bene anche non dimenticare che proprio quel regolamento è stato un atto irresponsabile che ha penalizzato la Rai – dagli introiti pubblicitari agli ascolti –, che ha punito ingiustamente i cittadini sul versante dell’informazione e che, soprattutto, ha indebolito l’offerta qualitativa del servizio pubblico. Ora, il centrodestra vuole riproporre questo scempio? Se sì, getta un ostacolo insormontabile che blocca qualsiasi possibilità di varare, in futuro, un atto di indirizzo sul pluralismo.
2) Inoltre, come è pensabile, e sempre da parte della maggioranza, di imporre i palinsesti all’azienda proponendo, ad esempio, l’ormai nota “alternanza” tra i conduttori o tra i vari programmi di approfondimento? Com’è pensabile, realisticamente, di inserire una formula che ha comune unico obiettivo quello di punire alcune trasmissioni? Il nodo di fondo non è quello di moltiplicare le “zone franche” all’interno del servizio pubblico ma, semmai, quello di regolamentarle meglio senza passare attraverso la clava della censura: dalla chiusura – come i talk in campagna elettorale – dei programmi al cambio dei conduttori, dalla modifica dei palinsesti allo stravolgimento dei format.

3) E infine la concezione del pluralismo. Se non vogliamo consolidare l’immagine di una Rai come banale “sommatoria di faziosità” la salvaguardia e la valorizzazione del pluralismo è il crinale lungo il quale si gioca la sopravvivenza della stessa democrazia nel nostro paese nel campo dell’informazione, pubblica o privata che sia. La politica, il Parlamento, hanno una grande responsabilità. E chi attualmente guida questo Paese non può più permettersi il lusso di accanirsi contro il rispetto del pluralismo escogitando meccanismi e inventando emendamenti che hanno come unico obiettivo quello di ridurre le voci “scomode” e di aumentare quelle “addomesticate”.

Con l’ormai prossimo regolamento per la elezioni amministrative e il futuro – sempre che venga approvato – atto di indirizzo capiremo se il centrodestra vuole rilanciare – salvando – la Rai o se, invece, e come purtroppo credo, punta solo a un processo di progressiva normalizzazione e di occupazione sistematica del servizio pubblico radiotelevisivo. Sarebbe un colpo formidabile contro la credibilità e la qualità del servizio pubblico e, soprattutto, uno schiaffo imperdonabile al rispetto dei principi basilari che regolano e disciplinano la democrazia nel pianeta dell’informazione.


Franco Maletti - 2011-04-01
Caro Giorgio, qui non è più questione di "crinale". Ormai siamo alle vere e proprie "crinade"...