Stampa questo articolo
 
Caro Susta
 
di Alessandro Risso
 

Ci conosciamo da lunga data, ti ho votato e ti ho fatto votare alle europee. Mi permetto quindi di scriverti una lettera aperta per riflettere sulla collocazione dei Popolari nel Partito democratico, in seguito alla tua risposta all’articolo di Merlo e ai commenti che sono arrivati.
Le elezioni politiche anticipate sono purtroppo tramontate, grazie a un Parlamento di “nominati” mai così squalificato, con troppi deputati impegnati solo a mercanteggiare il proprio voto con il compratore Berlusconi. Il mercato è redditizio e non si vedono i motivi per farlo finire anticipatamente, con danno per il Paese e per la credibilità della nostra democrazia. L’opposizione, e il PD in primis, ha il dovere di definire una strategia per arrivare preparata e credibile al prossimo appuntamento elettorale.
E qui passiamo al PD. Piaccia o no, senza i democratici non esiste alternativa allo sciagurato asse PDL-Lega. Il Partito democratico è nato da un progetto ambizioso e difficile, nel Paese delle fazioni e dei distinguo: unire i riformisti provenienti dai tre filoni storici – socialista, cattolico e laico – in un unico partito, più adatto a impersonare il centrosinistra nel quadro bipolare della “seconda Repubblica”, con un sistema elettorale maggioritario.
Non ci piace il bipolarismo? Ci nausea il sistema elettorale? Con questi dobbiamo fare i conti, fino a quando non riusciremo a cambiarli. Vincere con queste regole è difficile ma non impossibile. Occorre però recuperare credibilità presso un elettorato sfiduciato e sempre più rintanato nell’astensione. Personalismi, divisioni e beghe interne riescono solo ad allontanare altri consensi.
Se il bipolarismo all’italiana è in crisi, il bipartitismo vagheggiato da Veltroni non è mai nato (né poteva nascere in Italia). Il centrosinistra deve ragionare da coalizione, cioè da alleanza tra partiti. Non capisco perciò la tua avversità (e di altri amici) a SEL e all’IDV. Vendola sottrae certamente voti di sinistra al PD, ma canalizza anche nell’ambito riformista una fetta di consenso che andrebbe al mondo comunista (ricordi Rifondazione e PdCI complessivamente all’11%? Nel 2006, mica un secolo fa…). Invece Di Pietro impersona il baluardo della legalità contro i comitati d’affari, le cricche, le leggi ad personam, i conflitti d’interesse riassunti dal sultano di Arcore. Il PD su questo versante eredita ambiguità e incertezze di un quindicennio (Bicamerale, mancata legge sul conflitto d’interesse…) e risulta troppo “molle”. Ma non mi pare così male se questo elettorato “giustizialista” trova un riferimento accettabile nell’Italia dei Valori invece di ingrossare l’astensionismo o approdare tout court all’antipolitica talebana dei grillini. A voler fare l’analisi del capello ai compagni di strada (compresi quelli del proprio partito), si finisce per rimanere soli.
Tornando al PD, penso che debba proporsi come grande partito aperto e plurale, che mantiene lo spirito dell’Ulivo e dove non si esercitano egemonie. Merlo cita ad esempio Latorre, ma indichiamo pure D’Alema come emblema di questo retaggio ex comunista. Certe idee e certi comportamenti non ci piacciono e li contrastiamo nel dibattito interno al partito. Chi come noi ha conosciuto la DC, sa che era formata da anime diversissime. Cosa avevano da spartire Moro e Donat-Cattin con Salvo Lima e Cirino Pomicino? Eppure la DC è rimasta unita per quarant’anni. Altri tempi? Certo, ma quei politici capivano che la divisione porta maggior debolezza. Oggi la sindrome della diaspora pare inarrestabile, anche tra i Popolari stessi. E siamo veramente autolesionisti, perché abbiamo valori genetici (libertà, solidarietà, laicità) e capacità di elaborazione programmatica che ci permettono di dialogare con tutti e di allargare il consenso dentro e fuori il partito. L’amico Morgando non si è affermato e confermato segretario regionale per caso.
Penso poi che vada ben meditato il parere di chi fatica a trovare differenze significative tra un socialista democratico e un cattolico democratico. È un’opinione assai diffusa, in particolare tra chi ha meno di quarant’anni: dimostra una forte richiesta di sintesi politica e di conseguente proposta sui problemi concreti. Su questi dobbiamo misurarci, non sui distinguo ideologici.
Se non siamo capaci a far prevalere ciò che accomuna e rappresenta la ragione dello stare insieme rispetto a rimarcare continuamente le differenze, ci mettiamo da soli dalla parte dei perdenti. Chi abbandona la nave, risolvendo così perplessità anche condivisibili, rischia di confondersi con gli opportunisti che aspettano sul ciglio della strada il passaggio del carro vincente per balzarvi sopra. Non è il far Politica che ereditiamo da Sturzo. Credo che valga ancora la pena di impegnarsi nel PD per affermare le nostre idee, ritornare al governo e contribuire a un’Italia migliore.


giuseppe cicoria - 2011-04-04
Resto nel pd solo per momentanee necessità elettorali e fino a quando alcuni referenti politici, che stimo, rimarranno nel partito per supportarli nel modo migliore. Resto dell'avviso che il "matrimonio" dei popolari col pd non si doveva fare perchè troppe erano le differenze ideologiche e culturali che ci separavano dagli eredi del comunismo. Bisognava continuare a collaborare con esso e con qualsiasi formula possibile. Avremmo avuto più possibilità di scalzare Berlusconi e i suoi sodali. Continuare nella formula attuale mi sembra un suicidio politico: lo si vede dalla continua emorragia di voti. Parlo dei voti degli elettori e non degli addetti ai lavori! Certamente la situazione che si è creata è davvero complicata: la Margherita è morta. Ora c'è Casini che non è un partito ma un leader che ha troppi interessi personali ed è uno dei responsabili del più grave attentato alla storia democratica dell'Italia avendo contribuito in maniera decisiva alla sostanziale demolizione del sistema rappresentativo del Parlamento italiano! Quando parla fa troppi distinguo e non si capisce mai con chi sta o con chi vuole stare! Per i moderati cristiano democratici non c'è scelta: astenersi in attesa che sorga qualcosa di nuovo che recuperi i voti della moltitudine di elettori stanchi delle vecchie facce che recitano stanche giaculatorie.
gianluca susta - 2011-03-31
Caro Alessandro, grazie per la Tua lettera a cui desidero rispondere (poi non disturberò più!). Comincio dal fondo. Se per affermare le proprie idee si deve correre il rischio di apparire opportunisti, è un rischio che corro, non prima però di aver fatto appello non tanto al Vostro buon cuore quanto alla Vostra intelligenza. Io nell'altra legislatura (già come PD!) ero Capodelegazione della Margherita al Parlamento Europeo e Vicepresidente del Gruppo liberaldemocratico (101 deputati). Dopo le elezioni del 2009 il PD ha deciso di aderire al Gruppo dei “Socialisti & Democratici” ed io sono stato eletto Vicepresidente del Gruppo (184 Deputati) e, in quanto tale, facevo parte della Direzione nazionale del partito. Quando mi è risultato chiaro che al cambiamento del nome del Gruppo non è seguita nessuna modifica sostanziale, né di linea politica né di strategia parlamentare, mi sono dimesso da tutti gli incarichi, di gruppo e di partito. Ho buone ragioni per credere che in una Regione in cui ci sono 36 Democratici tra Deputati, Senatori e Consiglieri regionali (alcuni dei quali alla quarta legislatura) se solo fossi stato tranquillo al mio posto nessuno mi avrebbe negato una rielezione, anche perché mi pare di avere un curriculum secondo a pochi. Quindi mi permetto di dire che sono molto più opportunisti quelli che sparano quotidianamente contro il PD standovi dentro “perché non ci sono alternative” che non chi sceglie, senza paracaduti, di andare in “mare aperto” per ritessere la tela con quel 40% di elettori delusi che hanno abbandonato il PD tra il 2008 e il 2010. Sulle argomentazioni più propriamente politiche della Tua bella lettera, caro Alessandro, ritrovo molte delle osservazioni che io stesso mi sono posto in questo anno e mezzo di disagio, ma che mi conducono a risposte opposte. Il bipolarismo tendenzialmente bipartitico è morto e sepolto, con buona pace dei miei amici del MoDem che credono di poter ritornare allo “spirito del Lingotto”. Ma fuori da quello spirito non c'è – a mio giudizio – spazio pe un partito come il PD. Da qui la mia decisione. Se si scompone il centrodestra; se nasce un terzo polo (che io auspico diventi un “nuovo polo”); se fallisce – com'è fallito – il tentativo di assorbire nel PD la sinistra estrema, radicale e movimentista che vuole mantenere la sua autonomia; se a questa se ne affianca un'altra che fa dell'ordine e della giustizia la sua bandiera, non c'è spazio per un plurale partito riformista e ciascuno deve tornare a costruire la propria offerta politica sulla base della propria visione che per me è la sintesi tra la cultura laico-liberale, quella cattolico-democratica, arricchite oggi da una forte vocazione ambientalista, che dal dopoguerra in poi hanno insieme compiuto tutte le scelte strategiche determinanti per l'Italia, spesso in contrasto con la sinistra comunista (NATO, Europa, SME, ecc.). Ciò, ovviamente, non esclude che una forza siffatta, in futuro, possa allearsi con questo PD che sceglie di essere un partito “di sinistra”, ma verrà il giorno in cui – magari alle prossime politiche – il PD sarà chiamato a scegliere tra l'alleanza con questa nuova forza che nascerà e quella con Vendola e Di Pietro e a quel punto subirà ulteriori contraccolpi. Riconosco che, nel Paese e nella storia stessa della DC, ci sia una minoranza che ritiene la storia e le idee di “socialisti” e “cattolici progressisti” facilmente assimilabili tra loro; è l'idea di chi ritiene, sostanzialmente, il PD come il prodotto dell'incontro tra una certa sinistra DC, dossettiana e di matrice sindacale, con i postcomunisti. Non è mai stata questa la mia idea di PD. Andare oltre le ideologie del '900 voleva dire fare proprio il meglio che le tradizioni riformiste che hanno governato l'Occidente negli anni '90 e all'inizio di questo secolo ci hanno consegnato e che non possono essere frettolosomente archiviate come “deriva neoliberista”. Esiste un riformismo non di sinistra che oggi nel PD non riesce ad esprimersi perché il PD ha compiuto scelte diverse, coerenti con la storia della sinistra postcomunista, sia in termini di blocco sociale di riferimento che di apparati di gestione e di alimentazione del consenso. Non è né una strada condivisibile sul piano ideale né produttiva sul piano elettorale. A meno che si creda che Torino sia l'Italia, ma, si sa, l'Italia non è come Torino e richiede risposte più articolate che non quelle di rinchiudersi nei recinti delle certezze della storia della sinistra italiana. Grazie per l'ospitalità.
GIUSEPPE VAIRUS ex coordinatore Marfgherita - 2011-03-30
Condivido pienamente l'analisi di Risso. Sono conscio delle difficoltà che attraversa il PD. Quello che vorrei sapere però dagli amici che dichiarano di gettare la spugna allontanandosi dal PD, è che almeno comunichino dove intendono approdare, per capire fino in fondo le ragioni del dissenso. Grazie
Mario Vai - 2011-03-30
Sono pienamente d'accordo con quanto scrive Risso. Sono fermamente convinto si possa migliorare una situazione, un Partito, vivendone non solo le contraddizioni dall'interno ma adoperandosi con quella forza coinvolgente che è la responsabilità individuale per poter superare consapevolmente, credendoci, anche le contrapposizioni più ardue.
alessandro gozzelino - 2011-03-30
Ringraziandovi per le vs. mail che trovo sempre godibili ed interessanti, mi permetto di segnalare il sapore un po' nostalgico/passatista che si respira in alcune riflessioni. Vabbe' la DC e le grandi tradizioni culturali, ma qualcosa di un po' piu' contemporaneo ed attuale non c'e'? Non succede nulla nel mondo d'oggi che susciti il vs. interesse?
Giovanni Bachelet - 2011-03-30
Bravo Risso!
Marco Titli - 2011-03-30
Ottima analisi Alessandro!