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Primarie a Torino, lezione importante
 
di Giorgio Merlo
 

Al di là della mera cronaca, le primarie per la scelta del candidato a Sindaco di Torino hanno rappresentato una grande pagina di democrazia e di bella politica. Una straordinaria partecipazione popolare accompagnata da un confronto politico duro ma intenso hanno fatto di questa consultazione elettorale un caposaldo essenziale nella pur breve storia del Partito democratico subalpino. Certo, la vittoria di Piero Fassino è stata netta e inappellabile, frutto di un profondo radicamento in città e, soprattutto, di un grande riconoscimento alla figura e al profilo politico di un esponente che nel capoluogo subalpino gode di rara stima. E, al contempo, è un successo che premia la “continuità” con l’amministrazione di Sergio Chiamparino che ha segnato un cambio di passo nel processo di innovazione e di rilancio del ruolo di Torino nello scacchiere nazionale e internazionale. Del resto, è appena sufficiente scorrere i dati per rendersi conto che Torino in questi dieci anni è enormemente cresciuta e, di conseguenza, è aumentata la sua credibilità e il suo appeal. Una città che continua a soffrire sotto il profilo dell’occupazione ma che ha saputo reinventarsi, passando dal tradizionale modello fordista a una diversificazione della sua offerta produttiva ed economica.
Comunque, per fermarsi alle primarie, credo sia opportuno richiamare almeno due aspetti che, partendo proprio dal risultato di Torino, non possono non diventare elemento di riflessione a livello nazionale.
In primo luogo questo strumento si è dimostrato utile e positivo. Certo, le primarie non sono un dogma e non possono diventare la panacea di tutti i mali, lo strumento salvifico capace di risolvere qualunque problema. Perché nel PD c’è Torino ma c’è anche Napoli, c’è Milano ma c’è anche Cagliari. Insomma, voglio dire che lo slogan “comunque vada sarà un successo” non può essere applicato meccanicamente alle primarie. È indubbio, infatti, che vanno riviste. Il meccanismo che tutti possono votare a prescindere dalla propria appartenenza politica andrà rivisto. Già molti dirigenti del PD l’hanno evidenziato e credo che la credibilità delle primarie può essere salvaguardata proprio se interverrà una profonda e specifica modifica regolamentare. E questo per continuare a credere in questo volano di partecipazione popolare e democratica dove il voto sia garantito nella sua trasparenza e nella sua democraticità. Primarie che vanno calibrate anche sui diversi meccanismi elettorali. Se per l’organo monocratico sono indispensabili e funzionali – dal Sindaco al Presidente della Provincia, dal candidato al collegio provinciale al Presidente della Regione – qualche problema in più sorge per quei modelli elettorali non riconducibili alla scelta di un unico candidato. È giusto e legittimo chiedere le primarie per tutti gli eletti compresi i deputati e i senatori. Diventa francamente arduo adeguare il meccanismo delle primarie – al di là del richiamo propagandistico – per le cosiddette “liste bloccate” previste oggi per camera e Senato, o per la scelta dei candidati al consiglio comunale o a quello regionale. Insomma, le primarie non sono una ricetta per tutti gli usi, e per poterle renderle credibili richiedono regolamenti precisi, adeguati e pertinenti. Ma è indubbio che da Torino è partita una sfida che si può e si deve raccogliere e che contribuisce a correggere anche una progressiva degenerazione che era culminata con la scelta del candidato a Sindaco di Napoli.
In secondo luogo Torino ci ha detto che le primarie possono mettere a confronto anche modelli diversi di concepire la politica, le sue dinamiche concrete e le ricette politiche – cioè i programmi – che si misurano all’interno di un partito, in questo caso nel PD. Il confronto tra Fassino e Gariglio a Torino, ha evidenziato in modo esemplare come sia diverso il modo, ad esempio, di affrontare il capitolo del ricambio generazionale all’interno del partito e, di conseguenza, alla guida delle comunità locali. Tema importante, indubbiamente, che però non può essere ridotto a un fatto anagrafico e di esibizione della carta di identità. E, nel caso specifico torinese, cosa comporta in termini programmatici la “continuità” o meno con la precedente amministrazione, ovvero quella attualmente guidata da Sergio Chiamparino. E cioè il giudizio sulle grandi scelte che hanno caratterizzato la giunta cittadina in questi anni di governo del centrosinistra.
Insomma, da Torino non parte la crociata per le primarie a colazione, a pranzo e a cena. Una sorta di infatuazione permanente e dogmatica. Ma da Torino può iniziare un cammino costruttivo per le primarie all’interno del PD che non si trasformano in una fatwa intoccabile ma in uno strumento che va usato con discrezione ed intelligenza proprio perché non va svilito o sminuito da atteggiamenti che lo possono degenerare o stravolgere. Il monito che arriva da Torino, sommessamente, è solo questo. E il messaggio che parte dal capoluogo subalpino non può non essere raccolto dal vertice nazionale del PD che deve fare dell’esperienza torinese un tassello per rilanciare e stabilizzare – dopo averlo rivisto – il meccanismo delle primarie per la selezione della classe dirigente del partito e nelle istituzioni.


Ruggero Bacchetta - Grignasco (No) - 2011-03-04
Intervengo in merito al diritto di votare nelle primarie. Non credo sia "buona cosa" limitare questo diritto ai tesserati del PD e degli altri partiti della coalizione. Si andrebbe incontro al tesseramento a tutti i costi di amici facilmente manovrabili, che ricordano vecchi modi di tesserare (ai tempi di DC, PCI, PSI, ecc.). Se è vero che il PD si apre alla società e cerca il sostegno ed il contributo di intelligenze e generosità attive, basta chiedere a chi vuole votare una pubblica adesione ai principi fondamentali che animano la lista o la coalizione. Il problema è complesso se le primarie si svolgono all'interno di una coalizione, dove la presenza di più candidati di uno stesso partito rischia di punirlo: occorre evidentemente che il partito si presenti con un unico candidato, la cui scelta deve per forza avvenire all'interno del partito stesso. Con i limiti democratici che si intuiscono, poichè spesso ci ai muove ancora secondo logiche di correnti, le quali sono ottime per il dibattito, pessime come luoghi di potere. D'altronde mi sembra difficile ipotizzare doppie primarie aperte quando non siamo ancora attrezzati (culturalmente) a questo strumento democratico.