Le vicende che hanno nuovamente coinvolto il Presidente del Consiglio meritano di essere riprese non solo sotto il profilo politico, giudiziario o gossipparo. Semmai, richiedono un supplemento di riflessione sul versante etico o morale che dir si voglia. Anche su questo tema è bene non sconfinare nella banalità o nel ridicolo moralismo. In questi giorni, del resto, abbiamo assistito ed ascoltato di tutto. Dalla difesa – ridicola e goffa – dei comportamenti privati del Premier da parte dei suoi cortigiani al vari tribunali della santa inquisizione che da vari pulpiti laicissimi si sono levati in difesa, giustamente, della moralità, della correttezza e della trasparenza di chi è impegnato nella cosa pubblica ai vari livelli. Mai come in queste occasioni abbiamo la possibilità di contare e di accertare la presenza di uno stuolo di santi e di beati che si dedicano all’attività politica, giornalistica e di tutto ciò che è riconducibile al pubblico.
Sia chiaro, però. La posizione del Premier è oggettivamente indifendibile, al di là delle implicazioni morali ed etiche e al di là dello stesso iter giudiziario. Le cronache giornalistiche che emergono, al netto delle ovvie ed interessate manipolazioni della stampa avversaria del Premier e della sua parte politica, evidenziano una prassi comportamentale difficilmente compatibile con un ruolo istituzionale come quello di Presidente del Consiglio. Sotto questo profilo non abbiamo bisogno dei sermoni domenicali dei predicatori laici o delle invettive dei vari giornalisti travestiti da esperti commissari di ciò che avviene sotto le lenzuola. È appena sufficiente prendere atto di ciò che capita.
Ma la riflessione vera che tocca a noi, in particolare ai cattolici laici impegnati in politica, è quella di ristabilire il primato della politica accompagnandola però con una dimensione etica che non è riconducibile solo ad un fatto confessionale o di pratica religiosa. La valenza etica della politica è una costante che accomuna laici e cattolici e che richiede a tutti coloro che si impegnano nella “cosa pubblica” comportamenti adeguati e pertinenti e profondo rispetto delle leggi che disciplinano l’ambito statuale. Nulla di più e nulla di meno di quello che ci ricordava anni fa Pietro Scoppola con un efficace slogan che riassumeva il ruolo pubblico del cattolico: e cioè “cultura del comportamento” e “cultura del progetto” devono andare di pari passo nella esplicazione quotidiana dell’impegno politico. Uno slogan, e un concetto, che mantengono una bruciante attualità anche nell’attuale, confusa e convulsa, stagione politica. Ma la valenza etica della politica non può essere mai confusa con il moralismo. Soprattutto quando il moralismo diventa l’arma per sconfiggere l’avversario politico. E questo non lo dico solo per la presenza atavica di questo vizio nella stessa cultura cattolica – e laica – del nostro paese. Lo ricordo perché normalmente questa degenerazione non solo non è mai stata vincente nella concreta battaglia politica ma è sempre stata la causa di disastri politici ed elettorali tangibili. Semmai, la vera sfida che emerge dopo l’ennesimo scandalo sessuale che investe il Premier, è quella di saper distinguere definitivamente la dimensione etica della politica dal vago richiamo moralistico ed ipocrita che aleggia in queste circostanze. E, soprattutto, la necessità – almeno per i cattolici impegnati in politica – di saper raccogliere la sfida lanciata a più riprese dalla Chiesa italiana e dallo stesso Pontefice di mettere in campo una “nuova generazione di cattolici impegnati in politica”. E questo al di là della difesa o meno dei vari “interessi” cattolici in politica e al di fuori della stessa convergenza sui valori in ambito parlamentare dei vari credenti collocati in partiti diversi. È indubbio che l’attuale situazione va modificata profondamente e difficilmente regge di fronte ad un malcostume ormai non più giustificabile. Il moralismo non c’entra e, com’è noto, va sempre combattuto. Al di la della sua provenienza religiosa e laica. Quello che oggi va affermato con forza, seppur con modestia e senza arroganza e presunzione, è di saper declinare un “costume etico” pubblico che prescinde dalle appartenenze culturali e dalle tradizioni ideologiche. Un “costume etico” che può rigenerare la credibilità della classe politica nel nostro paese e ridare forza e prestigio alla sua autorevolezza nel guidare la comunità, dal livello locale a quello nazionale. Sotto questo versante, la responsabilità dei cattolici impegnati in politica è ancora più forte ed esigente. Ed è per questo motivo che, anche di fronte ai festini di Arcore, non basta il moralismo d’accatto come risposta etica e politica. Senza una forte e consapevole riscoperta dell’etica politica saremmo inesorabilmente condannati a convivere con situazioni di crescente degrado politico ed istituzionale accompagnato da inutili e ridicole risposte moralistiche. Ora serve uno scatto etico, culturale e morale. Un’azione possibile, se condivisa e responsabile.
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