Le riflessioni che seguono scaturiscono dalla lettura dell'ultimo articolo di Giorgio Merlo su Rinascita popolare. La sua è una delle rare e autorevoli voci nel panorama politico nazionale del campo riformatore che cerca di trarre qualche insegnamento dalla storica sconfitta del 4 marzo, per ripartire. E ci indica dei passaggi fondamentali e ineludibili: le attuali sigle che popolano lo schieramento riformatore, dal Partito Democratico a Liberi e Uguali, sono decotte e - lo si legge tra le righe - occorre pensare a un nuovo movimento politico, nel centrosinistra, in cui possa ritrovarsi anche la cultura politica del cattolicesimo democratico, sociale e popolare.
Merlo ci ricorda altresì la necessità di un progetto politico da costruirsi con l'apporto di molti: i corpi intermedi, il variegato associazionismo cattolico, intellettuali e cittadini scontenti dell'attuale centrosinistra.
Usando la franchezza che si addice ad un dialogo tra amici, tra tutti gli amici Popolari, concordo sul fatto che si debba andare proprio nella direzione di un nuovo movimento politico nel centrosinistra.
Ma tenendo conto di alcuni elementi discriminanti.
Primo. Dice bene Giorgio il progetto si costruisce insieme a molti. Ma i molti a cui guardare devono essere quei tantissimi cittadini che vogliono risposte ai loro problemi, che vogliono un futuro per i figli, e che magari come gesto disperato si sono astenuti o hanno votato M5S o addirittura la Lega per dare una spallata a un sistema che soffoca il popolo. Perché se ci basiamo solo sull'apporto dei corpi intermedi e degli intellettuali temo non si riesca a uscire dalle difficoltà in cui versa il centrosinistra, e oltretutto questo lavoro lo sta già facendo il PD. Anche questi mondi infatti scontano una subalternità culturale e progettuale all'establishment economico e finanziario che li rende sempre più autoreferenziali e irrilevanti. Memorabili sono le pagine scritte da Luciano Gallino sul mondo accademico: i ricercatori che non si piegano al mainstream non sono più pubblicati e non possono far carriera.
Invece, ed è il secondo elemento discriminante, c'è bisogno di uscire da un tale circolo vizioso, chiedendosi semplicemente: dove sta il popolo, dove è andato il voto dei ceti lavoratori e popolari? Le forze contrarie alle politiche di austerità hanno raccolto circa i due terzi dei consensi. Allora qui si pone un problema di strategia. Un nuovo movimento politico nel centrosinistra nasce, come scrive oggi Franco Monaco su “Il Fatto Quotidiano” a proposito del dialogo PD-M5S, per certificare il revisionismo di Di Maio, sulla politica economica e sulla politica estera, oppure per condividerne le scelte sulle questioni decisive? La lezione del voto popolare va ignorata o va tenuta in debito conto?
Perché è chiaro a chiunque che per rispondere a quella enorme domanda di cambiamento che è venuta dalle urne e tradurla in più lavoro, meno disuguaglianze, più protezione e welfare, più giustizia fiscale occorre una svolta nelle politiche economiche e monetarie e dunque nella politica estera del Paese. Renzi ha fallito esattamente qui e lo ha riconosciuto con grande onestà intellettuale in un'intervista al Corriere dopo il voto, la sua funzione è stata solo quella di ritardare di tre anni l'ondata populista, ma questo perché è apparso alla classe media come il fautore di una svolta, e invece era solo illusione.
Quindi, credo che la proposta di dar vita a un nuovo movimento politico nel campo riformatore potrà prendere consistenza se si collocherà dalla parte del cambiamento e si rivolgerà al popolo con linguaggio, categorie, persone che siano credibili nel marcare una discontinuità dall'establishment. E se si presenterà con un programma economico non austeritario (con tutto ciò che ne consegue per la strategia dell'Italia in Europa) per attuare poche e definite priorità programmatiche su temi che riguardino la vita concreta di un elettorato nella sua quasi totalità spoliticizzato, ma molto attento a scegliere per chi votare secondo i propri interessi di classe.
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