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PD, un compiuto "partito personale"

 
di Giorgio Merlo
 

Dunque, anche per il Partito Democratico si è chiusa definitivamente una fase politica. E cioè quella in cui si parlava del PD come di un "partito plurale, di sinistra, democratico al suo interno e collegiale". Tutti gli osservatori, i politologi e i commentatori delle cose politiche - anche della stampa filo renziana - sono arrivati alla medesima conclusione: il PD si è trasformato definitivamente in un "partito personale". O "del capo", che dir si voglia.
Ilvo Diamanti, con la consueta acutezza intellettuale e scientifica, l'aveva rilevato già due anni fa, e su questo sito, nel suo piccolo, c'era chi denunciava la deriva personalistica almeno da un altro paio d'anni. Comunque, meglio tardi che mai, si potrebbe dire.
Ma, al di là di questa osservazione, è indubbio che dopo la compilazione delle liste per le elezioni politiche da parte del segretario nazionale, anche per il Partito Democratico si apre una pagina politica nuova, del tutto coerente con il progetto renziano di trasformare la "ragione sociale" del partito. Prima attraverso la ridicolizzazione delle componenti di sinistra, poi con la sostanziale cancellazione di quella rappresentanza nelle liste – se non per un drappello che non darà fastidio al manovratore e che, di fatto, possiamo tranquillamente definire "diversamente renziani" – e poi con il cambiamento definitivo dello stesso progetto politico del PD. Lo hanno detto in questi giorni tutti i principali commentatori della politica italiana, evidenziando come questo percorso è del tutto coerente con l'intera strategia del progetto renziano.
Io ritengo che il segretario del PD abbia fatto un passo in linea con il suo progetto originario. Un progetto del tutto estraneo rispetto al modello veltroniano, cioè un partito plurale incardinato sull' incontro nel medesimo contenitore politico delle principali culture riformiste e costituzionali del nostro Paese. Un progetto che, com'è del tutto naturale, è destinato a passare prima dal controllo totale della rappresentanza parlamentare e dopo dalla trasformazione del quadro politico, dopo il voto del prossimo 4 marzo.
Del resto, era questo l'elemento politico di fondo al centro della recente scissione "a sinistra" nel PD ed è questa, nuovamente, la ragione di fondo che sta mutando identità, prospettiva e profilo politico del Partito Democratico. Una impostazione, questa, che passa dalla definitiva presa d'atto che ci troviamo di fronte a un "partito personale". Anche qui nulla di nuovo, se vogliamo essere sinceri e non ipocriti. Tutti sapevamo da tempo che il PD a trazione renziana era un partito personale e del capo. Ma molti, fingendo, ricordavano che si trattava dell'ultimo grande partito italiano che prevedeva ancora una democrazia al suo interno. Di Forza Italia, del Movimento 5 Stelle e della Lega salviniana  tutti sappiamo che sono sin dall'origine partiti e movimenti personali. Ovvero, strutturalmente "personali". Ora, con la compilazione “padronale” delle liste, anche questo tabù è definitivamente caduto e si commenta la realtà per quello che è. Cioè, con la nascita ufficiale del "PdR", il Partito di Renzi.
Ecco perché tutti i commentatori, giustamente, hanno rilevato che anche per l'ultimo grande partito italiano si è compiuta la trasformazione definitiva. Da partito plurale, collegiale e democratico a partito personale, del capo e plebiscitario. Ripeto, un passaggio del tutto coerente con l'impostazione originaria del progetto renziano. 
Certo, resta tuttora incerta e confusa la prospettiva del centrosinistra. Soprattutto dopo la mutazione genetica in corso nel PD che troverà compiutezza solo dopo il voto del 4 marzo. Ma questo è un altro paio di maniche, come si suol dire. Se ne parlerà con maggior cognizione di causa solo dopo il responso dei cittadini.


Franco Maletti - 2018-01-31
Panfilo Gentile (giornalista, scrittore e politico) nel 1969 scrisse un saggio dal titolo "Democrazie Mafiose": un esame più che profetico sulla decomposizione dei partiti a nicchie di potere. Ora addirittura si trascende: quando l'interlocuzione all'interno dei partiti non è nemmeno ammessa se non per assecondare il pensiero del Capo, il potere diventa assoluto e privo di ogni connotazione democratica. La tragedia a questo punto è che un simile "partito", (con un Capo che dapprima ha come riferimento quel Blair che ha distrutto il suo partito laburista inglese, e oggi Macron, che di sinistra non ha nemmeno l'unghia del dito mignolo) continui a ritenersi di area di centrosinistra. Fino a quando gli elettori continueranno a fidarsi e a votare PD prima di scoprire l'inganno?
Dino Ambrosio - 2018-01-31
Che tutti i commentatori siano d'accordo nel sostenere la tesi del “partito di Renzi” ho i miei dubbi. C'è anche chi pensa che Grasso lo sia altrettanto all'interno di LEU quando afferma che, in merito a certe questioni, deciderà lui. Prodi per esempio non è d’accordo con Giorgio Merlo. Volevo ricordare poi a Giorgio Merlo la fine che venne fatta fare da alcuni esponenti della cosiddetta “sinistra” del Partito proprio a Prodi. E alla brutta fine fatta da D’Alema dopo Prodi, che aprì la strada a Berlusconi. La storia si ripete. Se poi parliamo del brutto carattere di Renzi, che non gli consente di essere molto diplomatico sono d’accordo.
Giuseppe Davicino - 2018-01-30
La presentazione delle liste non ha fatto che trasformare in un fatto politico oggettivo, come argomenta molto bene Giorgio, quello che era ed è il giudizio di molti democratici delusi e traditi. Ma il virus della gestione proprietaria dei partiti ha contagiato non solo il Pd. A tal proposito valga il commento lapidario dato oggi dal presidente dell'Eurispes Gian Maria Fara: “I partiti sono diventati un fatto privato e personale, incapaci di esprimere un progetto”. Una amara presa d'atto, da cui ripartire con un progetto veramente popolare.
Paolo Picco - 2018-01-30
Certo se si vuole che un partito sia veramente plurale e democratico l'interlocuzione la si fa dall'interno, non certo cambiando casacca... Opinione personale naturalmente.